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Usura: il recente orientamento delle Sezioni unite della Cassazione in tema di interessi di mora. Una nota tecnico-finanziaria.

11 Dicembre 2020

Giulio Tagliavini, Professore ordinario di Economia degli intermediari finanziaria, Università degli Studi di Parma

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa

La recente Sentenza della Corte di Cassazione (Sezioni Unite) del 18 settembre 2020 n. 19597 ha introdotto elementi nuovi per il contenzioso in merito agli interessi di mora. Si tratta di una sentenza che produce un cambio di prospettiva, di forte semplificazione delle alternative interpretative a disposizione dei tecnici che supportano le valutazioni che, solitamente, vengono sviluppate in queste circostanze. Questo contributo intende proporre alcune riflessioni di carattere tecnico, al fine di mettere a fuoco premesse e prospettive di aiuto per la comprensione delle conseguenze operative dei principi giurisprudenziali che sono stati considerevolmente chiariti e rafforzati in base a questa sentenza.

Si tratta di conseguenze nel complesso molto definite. Nello spettro delle alternative possibili, almeno in base alle precedenti decisioni giurisprudenziali, le scelte operate ora dalla Corte di Cassazione sono decisamente a favore della banca.  Sono scelte di applicazione semplice e sono scelte che risolvono alcuni elementi di oggettiva ma (anche) pretestuosa confusione. In base alla precedente giurisprudenza erano infatti aperte alternative interpretative molto divergenti e per questa ragione era oggettivamente opportuna una decisione delle Sezioni unite. La confusione e la complessità delle alternative interpretative, e di conseguenza, di calcolo delle conseguenze monetarie di tali principi giurisprudenziali, alimentavano un livello elevato del contenzioso, anche di carattere strumentale. Una semplificazione che deriva da un chiarimento della portata delle regole da applicare era del tutto desiderabile. Questo risultato si è certamente concretizzato.

I principi chiariti dalla Sentenza a cui ci riferiamo porteranno certamente a una riduzione del contenzioso in materia. Secondo alcuni punti di vista, si tratta addirittura di una sentenza «demolitoria», nel senso che diminuisce moltissimo la possibilità di avviare contenziosi di carattere esplorativo, alla ricerca di una interpretazione, tra quelle possibili, con un certo grado di interesse monetario per la parte attrice. Questa Sentenza, come vedremo, ha un carattere tale da impedire che risulti interessante la migliore delle ipotesi interpretative a favore di parte attrice e, in questo modo, si produrrà un effetto di forte riduzione del contenzioso.

Al termine di queste riflessioni, verranno esplicitati, in ogni caso, alcuni dubbi tecnici, alcuni dei quali non sono secondari, e che rimangono anche dopo e anche in conseguenza della recente Sentenza.

Gli interessi di mora sono rilevanti per la norma antiusura?

La Sentenza ha risolto, positivamente, il contrasto giurisprudenziale relativo all’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori. In base ad essa, si è infatti definito che gli interessi di mora ricadono sotto il vincolo di non superare il tasso soglia.

Esistevano due tesi alternative, tra cui la Corte di Cassazione poteva optare.

Una prima tesi restrittiva (ABF e numerose pronunce della giurisprudenza di merito – ex multis Trib. Roma 11764/2020) sosteneva che gli interessi moratori sfuggirebbero all’applicazione della disciplina antiusura, specie in ragione della diversa natura giuridica di tali interessi e degli interessi corrispettivi. Si tratta di un ragionamento complesso di natura giuridica, che è esterno alla “confort zone” dello scrivente.

Una diversa tesi c.d. estensiva (espressa di più recenti pronunce della Corte di Cassazione) era fondata sulla necessità di garantire un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, considerata la funzione comunque remunerativa sia di quelli moratori che di quelli corrispettivi, oltre che sul presupposto che il ritardo colpevole del debitore non potrebbe integrare una causa giustificativa della permanenza (e della validità) di una obbligazione contraria alla legge.

Ha prevalso la seconda tesi, estensiva. Tale conclusione si basa primariamente sull’analisi di principi di diritto e delle scelte operate dal legislatore, correttamente interpretate. Questa opzione risulta, ma solo in astratto, a favore della parte attrice, che si trova, in base a tale principio, nella possibilità di eccepire il livello eccessivo degli interessi di mora ai sensi della normativa antiusura. Si tratta di una valutazione preliminare che dischiude la valutazione del tasso di mora, e che in caso di scelta diversa sarebbe stata esclusa in partenza.

Le riflessioni in merito a questo punto hanno un limitato spazio di sovrapposizione concettuale rispetto alle sensibilità e alle criticità rilevate nel management della banca. In effetti, nella gestione della banca la funzione del tasso di mora è semplicemente quello di creare un disincentivo al non rispetto delle scadenze pattuite. È certamente chiaro a tutti che se il mancato rispetto del piano di rimborso producesse un costo del finanziamento pari a quello ante scadenza, ne conseguirebbe che il rilievo della data di scadenza del finanziamento ne risulterebbe ampiamente minimizzato. Il mancato rispetto del termine di rimborso sarebbe un modo per accedere in autonomia a un finanziamento a costo già predefinito. Con regole di questo tipo si produrrebbe un ammorbidimento forte della necessità di rispettare i termini di rimborso del prestito. Questo determina uno scadimento della convenienza del prestito a danno della banca, maggiormente soggetta alle conseguenze del mancato rispetto dei termini di scadenza. Ma determina uno scadimento della convenienza anche per il finanziamento, a danno del quale vengono in breve retrocesse le maggiori difficoltà del mercato del credito, in termini di costi aggiuntivi inglobali nel tasso in decorrenza. Il punto appena sottolineato meriterebbe di essere considerato esplicitatamene.

Sotto un ulteriore punto di vista, è di rilievo che, nel concreto, l’applicazione del tasso di mora ha come contropartita in certi casi il debitore inadempiente, ma in altri casi ha come contropartita effettiva i creditori concorrenti del debitore insolvente. Sono due casi assai diversi, che meriterebbero valutazioni differenziate. Nel primo caso vale la questione dell’incentivo precedentemente richiamata. Nel secondo caso la questione è diversa, in quanto non è possibile o comunque illogico incentivare il debitore insolvente a corrispondere un rimborso impossibile, se non a danno dei creditori concorrenti. Questa circostanza andrebbe considerata con regole specifiche.

È poi noto a tutti, non solo al management della banca, che i prestiti non onorati danno luogo a costi precisamente enucleati e valutabili in modo analitico. Si tratta di costi indotti dai maggiori assorbimenti patrimoniali e del trattamento del recupero e del precontenzioso.

I tre ordini di considerazione sopra esplicitati, ci portano a ritenere che attribuire una funzione remunerativa agli interessi di mora non corrisponde affatto alla logica professionale standard del banchiere. Gli interessi di mora corrispondono invece al recupero di extracosti o, il più delle volte, a un parziale recupero degli stessi. Attribuire agli interessi di mora una funzione di creazione di profitti aggiuntivi non corrisponde alla realtà dei fatti, così come descritti dai meccanismi di controllo di gestione ordinariamente utilizzati in banche. Gli interessi di mora, banalmente, avrebbero un significato remuneratorio solo se fosse significativamente prevedibile l’incasso. Si tratta, in realtà, di una appostazione che corrisponde ad un introito eventuale, per somma e tempi.

Il problema della individuazione del tasso soglia significativo

Assunto l’orientamento di partenza in ordine alla considerazione degli interessi di mora, per una concreta applicazione di tale principio occorre rendere operativo il confronto con un adeguato tasso soglia. A tal fine, occorre comunque applicare il principio di simmetria (argomentato in Sezioni Unite della Corte di Cassazione in sentenza 16303/2018), per il quale la soglia presa come riferimento deve essere in qualche modo “simmetrica”, ossia deve basarsi sull’elaborazione solida dei dati di base, rilevati sul mercato, che rappresenti il livello delle condizioni medie di mercato. Considerando che il tasso di mora non può che essere maggiore del tasso di decorrenza, ne consegue che il tasso di mora concretamene applicato non può essere confrontato con il tasso globale medio (TEGM) che non tiene conto degli interessi di mora applicati. È evidente che il TEG rilevato sul singolo contratto in mora non può che essere superiore del TEGM anche in ragione della mancanza, nella rilevazione del TEGM, della componente mora.

E, d’altra parte, anche per il futuro, un TEGM comprensivo del tasso di mora non può essere rilevato, in quanto la componente di mora, necessariamente più elevata, toglierebbe significativa al tasso utilizzato per la verifica di contratti per la quale il tasso di mora non è stato applicato. Risulta di conseguenza necessario che il tasso di mora sia rilevato a parte. Ogni ipotesi di rilevazione congiunta è impraticabile o oltremodo svantaggioso per la clientela della banca, risolvendosi in un forte innalzamento delle soglie comunque rilevanti.

Già in altri casi si è evidenziata l’esigenza di effettuare confronti “netto-netto” o “lordo-lordo”. Si ritiene che non possiamo confrontare il TEG che tiene conto della CMS con il TEGM rilevato senza tenerne conto (Petrella & Resti, 2017). Allo stesso modo, non possiamo confrontare il TEG di un contratto comprensivo di costi assicurativi (quando rilevanti) con il TEGM calcolato senza tenerne conto. Il fatto che sia necessario un buon livello di simmetria è dato per acquisito dalla quasi totalità degli osservatori di formazione tecnica. Si tratta di un vincolo operativo imprescindibile.

Visto però che la rilevazione della soglia non è operata sulle more pagate, ma solo sui tassi corrispettivi, la concretizzazione di questo prima dichiarato diviene problematica. La mancata indicazione, nell’ambito del T.E.G.M., degli interessi di mora mediamente applicati non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali ove essi ne contengano una rilevazione statistica. Se i decreti non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta comunque il termine di confronto del T.E.G.M. così come rilevato. Questa è la conclusione operativa sostenuta nella sentenza in corso di analisi.

Per i contratti conclusi fino al 31/03/2003, il “tasso soglia di mora” coincide con il “tasso soglia dei corrispettivi”, atteso che i DD.MM. anteriori al D.M. 25 marzo 2003 (applicabile alle operazioni di credito dall’01/04/2003) non indicavano la maggiorazione media degli interessi moratori. La formula da seguire è la seguente: (T.E.G.M. x 1,5).

Per i contratti conclusi dall’01/04/2003 (data di entrata in vigore del D.M. 25 marzo 2003) al 30/06/2011, il “tasso soglia di mora” si determina sommando al T.E.G.M. il valore del 2,1 % (maggiorazione media interessi di mora indicata nei DD.MM.), il tutto maggiorato del 50% ex art. 2, comma 4, L. 108/1996 pro tempore vigente. La formula diviene la seguente: (T.E.G.M. + 2,1) x 1,5.

Per i contratti conclusi dall’01/07/2011 (data di entrata in vigore del D.M. 27 giugno 2011) al 31/12/2017, il “tasso soglia di mora” si determina sommando al T.E.G.M. il valore del 2,1 % (maggiorazione media interessi di mora indicata nei DD.MM.), il tutto maggiorato di 1/4 + ulteriori 4 punti percentuali ex art. 2, comma 4, L. 108/1996 ut modificato dal D.L. 13 maggio 2011 n. 70 convertito con modificazioni in L. 12 luglio 2011, n. 106. La formula corrispondente è la seguente: (T.E.G.M. + 2,1) x 1,25 + 4. Come si vede, la maggiorazione di 4 punti percentuali si applica una volta solo e non distintivamente per il tasso corrispettivo e in più sullo spread di mora. Questa soluzione risulta certamente di buon senso, anche se non esplicita nelle norme primarie o attuative.

Per i contratti conclusi dall’01/01/2018 (data di entrata in vigore del D.M. 21 dicembre 2017), il “tasso soglia di mora” si determina invece sommando al T.E.G.M. il valore del 1,9% (per i mutui ipotecari di durata ultraquinquennale) o del 4,1% (per le operazioni di leasing) o del 3,1% (per il complesso degli altri prestiti) (maggiorazioni medie interessi di mora indicate nei DD.MM. a partire dal D.M. 21 dicembre 2017), il tutto maggiorato sempre di 1/4 + ulteriori 4 punti percentuali sempre ex art. 2, comma 4, L. 108/1996 ut modificato dal D.L. 13 maggio 2011 n. 70 convertito con modificazioni in L. 12 luglio 2011, n. 106. La formula diviene la seguente: (T.E.G.M. + 1,9 o 4,1 o 3,1) x 1,25 + 4.

Si tratta dunque di una soluzione di calcolo molto chiara e precisa. Essa non è esplicitamente indicata nelle norme attuative, ma comprensibile e opportuna in base ai principi dichiarati in premessa al modulo applicativo. Tale soluzione si basa su una attribuzione di piena consistenza logica e di rappresentatività allo spread di mora, per tipologia di rilevazione, per grado di esaustività, e di ampiezza. Su questi punti più avanti commenteremo alcuni dubbi di un certo rilievo.

Quali conseguenze in caso di superamento della soglia?

Nell’ottica di assicurare il contemperamento tra le esigenze di creditore e debitore, la Sentenza afferma che la sanzione della non debenza deve essere applicata solo limitatamente al tipo di interesse oltre soglia. In questo caso, si tratta del superamento della soglia in quanto allo spread di mora, aggiuntivo rispetto al tasso di decorrenza.

Ove, infatti, l’interesse corrispettivo sia lecito e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della soglia, solo questi ultimi sono illeciti e preclusi, ma resta ferma l’applicazione dell’art. 1224, co. 1, c.c.11 con la conseguente applicazione degli interessi di mora nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti. Secondo la sentenza, una rigida applicazione dell’art. 1815, co. 2, c.c., con la conseguente gratuità del finanziamento, finirebbe per “premiare” il debitore inadempiente rispetto a colui che adempie tempestivamente la propria obbligazione, essendo quest’ultimo tenuto al pagamento degli interessi corrispettivi. Questo aspetto della sentenza risulta oscuro sotto diversi punti di vista. In primo luogo, è difficile convenire sul concetto di “rigida applicazione”. L’applicazione di un principio è rigida quando arriva a un bilancio degli interessi in gioco che risulta non condiviso da chi usa questa espressione, ma di per sé non esiste un modo intrinseco di fornire significato nel merito. In secondo luogo, l’idea che l’applicazione di una norma antiusura finisca per “premiare” la vittima è nell’articolato stesso dei provvedimenti di repressione del fenomeno usuraio. E’ vero che tale applicazione rigida favorisce il cliente a cui viene chiesto un pagamento oltre soglia rispetto al cliente che non ha provocato uno sforamento delle scadente pattuite, ma è anche vero che il cliente a cui è stato chiesto un pagamento oltre soglie è stato oggetto di una pretesa usuraia a differenza del cliente che, parimenti oltre scadenza, si veda richiesta di un pagamento ricondotto, diciamo per “autotutela” da parte della banca, entro soglia. La funziona sanzionatoria dell’annullamento degli interessi nella loro interezza risulta avere il consueto rilievo, rispetto a quanto indicato dal legislatore.

La nullità della clausola sugli interessi moratori, quindi, non porta con sé, secondo la sentenza, anche quella degli interessi corrispettivi e tale principio appare in linea con quelli affermati in ambito comunitario ed enunciati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (tutti, però, riconducibili ad ipotesi di contratti conclusi con i consumatori).

Cosa accade in caso di risoluzione del contratto dopo l’inadempimento post applicazione di interessi mora oltre soglia? Eventualmente cade la clausola sugli interessi moratori. Le rate scadute al momento della caducazione del prestito restano dovute nella loro integrità, comprensive degli interessi corrispettivi in esse già conglobati, oltre agli interessi moratori sull’intero nella misura dei corrispettivi pattuiti, purché il tasso di questi sia lecito, o al tasso corrispettivo, in caso non lo sia. Gli interessi inglobati nelle rate scadute sono inglobati nel conteggio del montante nella loro interessa, con connesso effetto anatocistico.

Per le rate a scadere sorge l’obbligo d’immediata restituzione dell’intero capitale ricevuto, sul quale saranno dovuti gli interessi corrispettivi (a titolo di mora), ma attualizzati13 al momento della risoluzione del contratto.

Può essere domandata la nullità di una clausola sugli interessi moratori in corso di svolgimento regolare del rapporto? L’eventuale sentenza a favore del cliente “assicura” il debitore esclusivamente rispetto al fatto che l’interesse moratorio pattuito, ed accertato quale usurario, non sia dovuto. Non può, quindi, il debitore, ottenuta la sentenza di accertamento di nullità della clausola relativa agli interessi moratori, non adempiere e pretendere che nessun interesse gli sia applicato oltre all’interesse corrispettivo.

Verificatosi l’inadempimento, quindi il presupposto per l’applicazione degli interessi moratori, l’indagine sull’usurarietà degli stessi deve tener conto di quelli dedotti in astratto o quelli applicati in concreto? Verificatosi l’inadempimento, rileva unicamente il tasso che in concreto sia stato richiesto ed applicato dalla banca e rimane priva di rilievo la statuizione inerente al tasso in astratto pattuito e mai applicato. “Ciò che rileva in concreto in ipotesi di inadempimento è il tasso moratorio applicato; se il finanziato intenda agire prima, allo scopo di far accertare l’illiceità del patto sugli interessi rispetto alla soglia usura, come fissata al momento del patto, la sentenza ottenuta vale come accertamento, in astratto, circa detta nullità, laddove esso fosse, in futuro, utilizzato dal finanziatore”.

Gli effetti della sentenza: il potenziamento della possibilità di richiedere decreti ingiuntivi

Le SS.UU. non affrontano nella sentenza di cui stiamo discutendo la problematica della validità o meno della clausola “di salvaguardia”, in quanto non oggetto di rimessione. Sul punto, quindi, continuiamo a riferirci a Cass. Civ. – Sez. III, Pres. VIVALDI, Rel. D’ARRIGO, Ordinanza 17 ottobre 2019, n. 26286: “In tema di rapporti bancari, l’inserimento di una clausola “di salvaguardia”, in forza della quale l’eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del c.d. “tasso soglia” antiusura previsto dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell’impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Di conseguenza, in caso di contestazione, spetterà alla banca, secondo le regole della responsabilità ex contractu, l’onere della prova di aver regolarmente adempiuto all’impegno assunto”.

Il contratto di prestito che viene analizzato con riferimento al rispetto alla normativa antiusura può dunque essere collocato in uno dei livelli della seguente graduatoria, presentata nella tabella esemplificativa.

Tasso di interesse in decorrenza

Tasso di interesse di mora indicato in contratto

Pagamento di interessi di mora

Inadempimento avvenuto

Clausola di salvaguardia

8

Sottosoglia

Oltre soglia

Non preteso

NO

Assente

7

Non preteso nel concreto

SI

Presente

6

Richiesto

Presente

5

Incassato

Applicata

4

Non preteso

Assente

3

Richiesto

Assente

2

Incassato

Assente

1

Oltre soglia

Oltre soglia

Irrilevante

Irrilevante

Irrilevante

Gli effetti concreti della sentenza sono dunque molto significativi in una molteplicità di circostanze. Con l’impostazione introdotta, di grande semplificazione, possiamo concludere che tutte le fattispecie dalla 3 alla 8 non rientrano in un ambito che dia luogo a misure di sanzionamento della banca. La fattispecie 1, come è ovvio, e in misura limitata, e la fattispecie 2, danno luogo a una reazione a favore del cliente. Il cambiamento rispetto alla situazione precedente è notevole. In base all’incertezza precedente e in base alle interpretazioni alternative a quella indicata nella sentenza qui oggetto di attenzione, le fattispecie 3 e 4 prima rientravano nello spazio del contenzioso potenzialmente incerto. In modo ancora più incerto, anche le circostanze 5 e oltre erano oggetto di lite, per alcuni temeraria, ed ora risultano improponibili.

Un tratto dunque importante della sentenza è che se anche il tasso di mora pattuito è usuraio, alla fine quello che conta è l’applicazione dello stesso, ossia la pretesa concreta di un pagamento, non la pretesa potenziale. Ne consegue che la banca che ha pattuito un tasso usuraio – per errore materiale o trascuratezza, o addirittura, meno credibilmente, per volontà esplicita – si pone al riparo di una sanzione ex normativa antiusura semplicemente chiedendo una prestazione che sia inferiore – anche se verificata al momento dell’inadempimento – del limite usuraio. La banca avrà la possibilità di chiedere più del corrispettivo, ma meno del tasso usuraio. Si tratta oggettivamente di una soluzione favorevole e comprensiva nei riguardi delle ragioni del banchiere.

Gli elementi di debolezza della sentenza

Come accennato in premessa, ci sono alcuni profili della sentenza che appaiono limitatamente soddisfacenti, almeno sotto il profilo tecnico finanziario.

Sotto un primo di vista, è necessario sottolineare che l’esigenza di una simmetria di carattere tra TEG e TEGM è, in questo caso, assicurata parzialmente. La rilevazione circa la maggiorazione di mora da parte della Banca d’Italia è poco soddisfacente, in quanto sporadica e ritardata. La qualità della rilevazione è parziale rispetto alla piena significatività dei tassi di interesse in decorrenza. La differenza di significatività è legata alla parziale copertura in quanto all’intero periodo di rilievo, ma anche alla parziale copertura in quanto a numero di operazioni di mercato monitorate, alla parziale. In via esemplificativa, è stato sottolineato che il DM 19 dicembre 2013, fa riferimento ai dati statistici riferiti al 2002. Il ritardo della rilevazione rispetto al periodo di riferimento definisce un livello di simmetria debole. Molto presumibilmente, le rilevazioni future da parte della Banca d’Italia verranno adeguate al nuovo rilievo che ad esse è stato attribuito dalla Corte di Cassazione. Il contenzioso in ogni caso si manifesta per il passato e sarà così per un certo numero di anni.

Sotto un secondo punto di vista, l’art. 1815 CC e l’art. 644 del Codice Penale hanno un contenuto letterale che ad alcuni appare molto esplicito in una direzione differente. Per il primo, il secondo comma stabilisce che “Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. Per il secondo, al comma tre si stabilisce che “La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” e al successivo che “Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”. Non si comprende, secondo questo punto di vista, quali siano i presupposti per un trattamento così differenziato della componente di mora del costo del credito rispetto alle altre componenti. Non esistono infatti altri casi, tra i tanti analizzati in corso di contenzioso e di evoluzione giurisprudenziale, che sono stati affrontati mediante la prospettiva della riduzione dell’extracosto rispetto al limite usuraio.

Sotto un terzo punto di vista, la perplessità concettuale relativa ad aver considerato rilevante il fine remunerativo degli interessi di mora si connette con uno scarso allineamento tra concettualizzazione giuridica e realtà operativa della gestione bancaria. Anche la prospettiva di considerare il costo complessivo del finanziamento per il quale viene addebitato un costo di mora, che risulta pienamente logica e rispondente al punto di vista tecnico (Comana, 2018), in luogo del considerare separatamente il periodo ante scadenza e il periodo post scadenza della rata, con i separati tassi soglia, è stata accantonata inopinatamente e andrebbe meglio considerata.

Conclusioni

La Sentenza mira a una soluzione del problema che è apprezzabile sotto il profilo tecnico e che in questo senso è desiderabile. Occorre effettivamente de-enfatizzare il problema degli interessi di mora. Si tratta di contratti di finanziamento che sono rispettosi in quanto a limite antiusura. La clausola riguardante il tasso di mora concerne una circostanza eventuale, per la quale valgono elementi di disincentivo al pagamento oltre ai termini temporali previsti e necessari elementi di maggiorazione legati ai costi in capo alla banca. La clausola riguardante al tasso di mora è di conseguenza intrinsecamente “pericolosa” per la banca. Viene per forza di cose fissata con largo anticipo rispetto alla sua attivazione e in uno “spazio” compreso tra il tasso di decorrenza e il limite antiusura. È normale che il complesso di queste circostanze possa talvolta portare il costo del prestito oltre soglia. Si tratta di errori tecnici, più che una intenzione di approfittare di una circostanza specifica per aumentare la redditività del finanziamento (che in caso di mancato rispetto della scadenza pattuita si sta definendo in termini dubbi o negativi).

La soluzione ora definita con la sentenza della Corte di Cassazione sarebbe adeguata rispetto al problema tecnico-finanziario, se fosse stata o fosse nel futuro introdotta dal legislatore. Se per legge si fissasse nel senso detto la questione dell’usurarietà del tasso di mora, ad esempio definendo un limite maggiorato (in modo diverso e forfetario) rispetto alla soglia dei tassi di decorrenza, o come sopra richiamato considerando l’insieme del periodo pre e post scadenza del finanziamento, la soluzione apparirebbe razionale, diretta ed efficace. Anche in questo campo, la semplicità delle regole è sempre opportuna.

La soluzione ora definita, attraverso però una Sentenza della Corte di Cassazione (Sezione Unite), che fa leva su una piattaforma di provvedimenti di attuazione operati dalla Banca d’Italia (in epoca in cui non esisteva consapevolezza di questo fatto) e che fa leva su un complesso iter interpretativo, ha le debolezze sopra descritte e lascerà una conseguente insoddisfazione.

 

Bibliography

Comana, M. (2018). Il tasso di mora nella disciplina sull’usura: un’analisi matematica. Rivista di Diritto Bancario(1).

Dolmetta, A. (2013). Su usura e interessi di mora: questioni attuali, nota alla sentenza Cassazione 9 gennaio 2013, n. 350. banca, Borsa, titoli di credito, 501.

Ferraguto, A. (2020). Gli interessi di mora e l’usura nella Cassazione SS.UU. 19597/2020.

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Marcelli, R. (2014). La mora e l’usura: criteri di verifica. Il Caso.

Marcelli, R. (2015). L’usura della legge e l’usura della Banca d’Italia: nella mora riemerge il simulacro dell’omogeneità. La rilevazione statistica e la verifica dell’art. 644 c.c.: finalità accostate ma non identiche. Rivista di diritto bancario, 279.

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Petrella, G., & Resti, A. (2017). Usura bancaria: i rischi di un’applicazione paradossale e fuorviante della legge. Banca Impresa e Società, 123-140.

Porretti, G. M. (2020, Settembre 24). Recentissima dalla S.C. di Cassazione a SS.UU. in tema di usura degli interessi di mora ed altro. Tratto da https://www.tidona.com/recentissima-dalla-s-c-di-cassazione-a-ss-uu-in-tema-di-usura-degli-interessi-di-mora-ed-alt

Salanitro, U. (2016). Usura e interessi moratori: ratio legis e disapplicazione del tasso soglia. Banca, borsa, titoli di credito, 740.

Semeraro, M. (2015). Usura originaria, usura sopravvenuta e interessi moratori. Rivista diritto bancario.

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