Con ordinanza del 7-11 febbraio 2014, il Tribunale di Palermo, in composizione collegiale, ha sospeso la procedura esecutiva avviata da una Banca nei confronti di un imprenditore (e giunta alla fissazione dell’asta per la vendita) a causa del presunto inadempimento relativo a un mutuo fondiario.
I Giudici hanno accolto, in fase cautelare, la tesi difensiva proposta da parte opponente, secondo la quale il tasso realmente applicato a detto mutuo aveva superato il c.d. tasso-soglia di usura.
La pronuncia è di notevole interesse, inserendosi – con autorevolezza – nell’attuale e ben nota questione, dibattuta in dottrina e giurisprudenza, circa la valenza da attribuire agli interessi di mora ai fini dell’indagine circa l’usurarietà dei mutui (e, più in generale, dei contratti di finanziamento).
E’ stato ritenuto, infatti, che gli interessi capitalizzati mantengono, contabilmente e giuridicamente, la loro natura di interessi e dunque devono essere computati, unitamente a quelli moratori applicati dalla Banca, ai fini della verifica di tale usurarietà.
Come già riconosciuto più volte dalla Suprema Corte, l’ordinanza sottolinea che occorre prendere in considerazione il costo effettivo globale del finanziamento, comprensivo di tutti gli oneri collegati, ivi compresi gli interessi di mora.
Il Tribunale di Palermo riconosce che tale metodo di calcolo è conforme allo spirito della legge n. 108 del 1996 e si spinge oltre, in quanto sostiene con nettezza che il superamento del tasso soglia deve essere accertato con riferimento al solo capitale erogato (che non si incrementa per effetto dell’anatocismo) e non invece al capitale comprensivo anche degli interessi maturati.
Sotto tale profilo, è di assoluto rilievo l’iter logico-giuridico del Collegio, laddove ritiene che non sussistono ragioni plausibili per escludere gli interessi di mora dai limiti del tasso di usura quando si sommano ai corrispettivi: infatti, così facendo, si arriverebbe al paradosso dell’elusione normativa, con la possibilità di scomporre all’infinito i vari costi del finanziamento (a seconda delle decisioni unilaterali e insindacabili della Banca), ottenendo l’effetto distorto di limitare (fittiziamente) ciascuno di essi entro il tasso-soglia, senza considerarli nel loro complesso.
Oltre a tali fondamentali principi, i Giudici hanno confermato l’orientamento ormai consolidato, secondo cui le Istruzioni della Banca d’Italia non costituiscono fonte di diritto e dunque non sono in alcun modo vincolanti per gli istituti bancari, né ovviamente per gli organi giurisdizionali, neppure quale mezzo di interpretazione: in questo senso, esse non possono avere alcuna efficacia “esimente” nei confronti degli eventuali illeciti commessi dalle Banche nell’esercizio della propria attività.