È manifestamente infondato il ricorso contro la statuizione del giudice delegato che abbia ammesso la banca al passivo per la sola sorte capitale del rapporto di credito, sulla base del rilievo dell’usurarietà orginaria del tasso di mora. Da un lato, l’art. 1815, co. 2, c.c. stabilisce che «se sono dovuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi» e ai sensi dell’art. 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in l. 28 febbraio 2001, n. 24, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento; il legislatore, infatti, ha voluto sanzionare l’usura perché realizza una sproporzione oggettiva tra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore. Dall’altro, la giurisprudenza di legittimità ha già statuito che «è noto che in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della I. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324). Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso» (Cass. ord. 5598/2017; con principio già affermato da Cass. 14899/2000)».
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