Con la sentenza n. 9856, i giudici della Suprema Corte sono tornati ad esprimersi sul tema della deducibilità degli accantonamenti su rischi di cambio.
La sentenza afferma il principio di diritto secondo cui il metodo contabile per la deducibilità degli accantonamenti su rischi di cambi, previsto ai sensi dell’art. 103-bis del d.p.r. n. 917/1986 del testo “ratione temporis”, implica una valutazione complessiva di tipo forfettario e si pone come metodo alternativo e disomogeneo rispetto a quello della conversione diretta di tutti i crediti e debiti in valuta estera al cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio.
Ricordiamo che, ai fini IRPEG, l’art. 103-bis disciplinava le operazioni di acquisto di valute o di titoli a termine (c.d. “operazione fuori bilancio” o “outright valutario”), con l’individuazione di un determinato tasso di cambio predefinito, escludendo, limitatatamente alle fiscalità degli outrights in corso alla data di chiusura dell’esercizio, che se ne debba attendere l’esito definitivo, ovvero la scadenza del termine.
Dovendo tener conto dell’effetto di copertura dei rischi di oscillazione dei cambi, in forza della stipulazione di contratti di vendita a termine di valuta estera o di assicurazione, tale criterio di valutazione si applica ai soggetti che, pur non essendo enti creditizi o finanziari, abbiano comunque acquistato valute o titoli a termine e non a quelli che, invece, li abbiano ceduti.
Infine, la sentenza esclude la “sanzionabilità” delle rilevazioni contabili “eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili”, oltre che da valutazioni eseguite secondo corretti criteri di stima. Tuttavia, tal esclusione, non potrà ritenere valido il comportamento fiscalmente illecito del contribuente che, pur rispettando regolarmente e puntualmente quanto disposto dai principi contabili, violi il principio della competenza fiscale.
Pertanto, l’errata applicazione del principio della competenza, non si tradurrà in una violazione meramente formale, qualora non abbia creato pregiudizio alle azioni di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria e, al contempo, non abbia inciso sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, laddove, invece, la violazione di tale principio è di per sé idonea ad ostacolare l’esercizio dell’azione di controllo.