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Attualità

Valore decisioni ABF nel giudizio di merito: una decisione stravagante

10 Novembre 2022

Francesco Mocci, Partner, Zitiello Associati

Francesca La Croix, Zitiello Associati

Di cosa si parla in questo articolo
ABF

Il presente contributo commenta in modo critico la recente pronuncia del Giudice di Pace di Varallo che si inserisce nel contesto della domanda su “Che valore hanno le decisioni dell’ABF?


In un contesto storico in cui il legislatore mostra di riporre particolare fiducia nell’istituzione del giudice di pace, la cui competenza per valore verrà notevolmente innalzata per effetto della recente riforma del processo civile, la lettura attenta di alcuni provvedimenti rischia di sollevare legittimi dubbi sull’opportunità di una simile scelta di politica legislativa.

Lo scorso 20 luglio 2022, il Giudice di Pace di Varallo ha emesso una singolare sentenza, con la quale ha accolto le domande proposte da un cliente nei confronti di un intermediario finanziario ponendo a fondamento della condanna esclusivamente l’inadempimento a una decisione rilasciata dall’Arbitro Bancario Finanziario (di seguito, l’“ABF”).

Invero, il cliente aveva promosso due anni prima un procedimento avanti all’ABF, lamentando un presunto inadempimento dell’intermediario agli obblighi assunti con la vendita di buoni fruttiferi postali della serie “Q/P”.

Il Collegio territoriale di Torino aveva accolto le pretese del ricorrente, condannando la banca resistente al pagamento della somma richiesta. Tuttavia, l’intermediario soccombente aveva ritenuto di non adempiere alla decisione: motivo per cui il cliente ha interessato della questione il Giudice di Pace di Varallo.

All’esito del breve giudizio, il Giudice piemontese ha così chiarito il proprio convincimento, nelle ventitré righe della parte motiva: “La domanda formulata da parte attrice è stata provata e pertanto deve essere accolta (omissis). Senza entrare nel merito della questione sulla validità dei timbri correttivi, ciò che rileva secondo questo Giudice è soltanto l’inadempimento di parte convenuta nella decisione dell’Arbitrato Bancario di Torino…”.

Due sono i punti di attenzione che emergono dalla pronuncia:

  • il Giudice di Pace non ritiene di dover entrare nel merito della questione e di esaminare le ragioni delle parti così come esposte negli atti;
  • soprattutto, l’inadempimento alle decisioni dell’ABF assume non solo il valore di un elemento di prova, ma addirittura quello di (unico) presupposto del giudizio.

Dunque, la domanda dell’attore viene accolta non perché quanto riportato nella decisione dell’ABF sia vero o quantomeno verosimile, o perché si assegna un valore probatorio assoluto alla decisione circa i fatti da essa accertati, ma per il solo fatto che esiste una pronuncia dell’ABF in favore dell’attore: il che esonera quest’ultimo da qualsiasi onere allegatorio e dimostrativo e il Giudice da qualsiasi dovere valutativo.

Tralasciata ogni valutazione sulla possibile nullità della sentenza per omessa o insufficiente motivazione, è utile ricordare quale sia, o meglio quale non sia, il valore assegnato dall’ordinamento alle decisioni dell’ABF e del “gemello” Arbitro per le Controversie Finanziarie (di seguito, l’“ACF”). Risulterà infatti evidente come la pronunzia del Giudice di Pace di Varallo sia profondamente errata e ingiusta.

ABF e ACF sono uno strumento alternativo (alla giustizia ordinaria, appunto) di superamento di una controversia insorta tra privati, la cui efficacia viene incentivata dall’ordinamento tramite strumenti come l’adesione obbligatoria da parte degli intermediari, la sorveglianza da parte di Banca d’Italia e Consob, l’istituzione di una condizione di procedibilità del processo e, più di tutte, la c.d. sanzione reputazionale, rappresentata dalla pubblicazione dell’eventuale inadempimento alla decisione (“la notizia dell’inadempienza dell’intermediario o della sua mancata cooperazione è pubblicata sul sito internet dell’ABF e, a cura e spese dell’intermediario, in due quotidiani ad ampia diffusione nazionale. Nel caso in cui sia stata comunicata la sottoposizione della controversia all’Autorità giudiziaria, ne viene fatta menzione in sede di pubblicazione”, cfr. Disposizioni ABF, doc. n. 16 Sez. IV, par. 4).

Tuttavia, si tratta di istituzioni privi di natura giurisdizionale, come chiarito anche dalla Corte Costituzionale. Chiamata a esprimersi sul punto, la Consulta, con l’ordinanza del 21 luglio 2011, n. 218, ha fornito una risposta fermamente negativa (cfr. Ord. 21 luglio 2011, n. 218, disponibile su www.giurcost.org), sottolineando molteplici aspetti di divergenza con l’esercizio della funzione giurisdizionale tipica della magistratura.

Anzitutto, da un punto di vista strutturale e funzionale, l’assenza di un fondamento costituzionale, la natura prettamente amministrativa delle norme che ne regolano il funzionamento, i criteri e i requisiti di nomina dei componenti dei collegi, il loro stato giuridico nonché il complesso delle loro regole deontologiche sono “connotazioni che valgono ad escludere la riconducibilità di tale organo a quelli giurisdizionali”.

Per il Giudice delle Leggi depone inoltre in tal senso la totale assenza degli “indici di riconoscibilità tipici delle funzioni giurisdizionali” per ciò che concerne le specifiche attribuzioni dell’Arbitro[1].

In particolare, ciò è legato – da un lato – all’effetto preclusivo per la possibilità dell’Arbitro di pronunciarsi di un ricorso all’autorità giudiziaria precedente al procedimento o in costanza dello stesso e – dall’altro – alla non vincolatività delle sue decisioni.

Del resto, è lo stesso ABF a precisare nel proprio sito internet, nella sezione dedicata alle FAQ, che “Le decisioni dell’ABF non sono vincolanti e non hanno l’effetto tipico delle sentenze del giudice”: non incidono sul rapporto giuridico sottostante la lite (che non viene tecnicamente, pertanto, “definita”); non sono mai idonee al giudicato (e quindi possono ben essere superate da altre pronunce); non costituiscono titolo esecutivo e non possono rappresentare il presupposto per l’esecuzione forzata; non impediscono alle parti di adire l’Autorità giudiziaria (che quindi viene percepita come “altro”) per ottenere giustizia, se ritengono di non averla avuta dall’Arbitro[2].

La distanza da altri istituti è stata di recente ben indagata da una sentenza del Tribunale di Roma (n. 3654 dell’8 marzo 2022, commentata anche su questa rivista), che ha sottolineato la differenza con la conciliazione e la mediazione (che hanno come finalità la composizione bonaria della lite, mentre ABF e ACF entrano nel merito delle posizioni delle parti e propongono una soluzione, seppure non vincolante in senso assoluto), con l’arbitraggio (che presuppone un’integrazione del regolamento contrattuale, inesistente avanti agli Arbitri) e soprattutto con l’arbitrato rituale e irrituale, al di là del fuorviante nomen iuris.

A quest’ultimo proposito, il Tribunale di Roma ha evidenziato come manchi del tutto, nel caso di ABF e ACF, un accordo tra le parti circa la devoluzione della lite alla competenza di un terzo, con sottrazione della lite alla valutazione del Giudice naturale; e che, in ogni caso, la legge non attribuisce alla decisione di ABF e ACF una natura simile al lodo, che è vincolante per entrambe le parti.

Il Giudice capitolino conclude così per l’irriducibilità delle decisioni degli Arbitri agli schemi giuridici tradizionali e, quel che è più rilevante in questa sede, nega loro alcun valore ai fini della concessione di un decreto ingiuntivo[3].

Se, quindi, non è possibile utilizzare una decisione di ABF e ACF per l’emissione di un provvedimento per sua natura provvisorio e reso all’esito di una cognizione sommaria come è il decreto ingiuntivo (che viene rilasciato senza contraddittorio tra le parti e sulla base dell’esame di documentazione cui è attribuita una certa presunzione di verità), ancora meno si potrà porre a fondamento quella decisione per l’emissione di una sentenza a definizione di un giudizio a cognizione piena, come è il procedimento avanti al Giudice di Pace.

Aggiungiamo infine un argomento ad absurdum, che dimostra ancora di più l’erroneità della sentenza in commento.

Abbiamo visto che le decisioni di ABF e ACF non sono definitive e non precludono alle parti di adire l’Autorità giudiziaria per far valere le proprie ragioni (senza che si tratti di una vera e propria impugnazione, perché il Giudice è tenuto ad esaminare le tesi delle parti ex novo). Quindi è possibile per le parti insoddisfatte ricorrere avanti al Giudice in presenza di una decisione dell’Arbitro: ma se questa bastasse a fondare il convincimento del Giudice, a che servirebbe una simile iniziativa? Il Giudice non potrebbe che confermare quanto deciso da ABF o ACF.

Con il paradossale risultato di svilire di senso la possibilità di ricorrere all’Autorità giudiziaria e di attribuire alle decisioni dell’ABF un valore addirittura maggiore di quello riconosciuto a una sentenza di un Giudice, pur sempre sottoposta all’impugnazione.

 

[1] In particolare, la Consulta osserva che nell’ambito delle decisioni ABF “i caratteri della giurisdizione si rivelano, del pari, inesistenti anche con riguardo al profilo relativo alla decisione, posto che la stessa non assume, in realtà, alcun valore cogente per nessuna delle parti “in causa”, svolgendo essa solo una funzione destinata ad incidere sulla immagine e sulla reputazione dell’intermediario, in particolare se non ottemperante, secondo connotazioni che possono riecheggiare gli interventi di organi amministrativi in autotutela;” (cfr. Ord. 21 luglio 2011, n. 218, disponibile su www.giurcost.org).

[2] Allo stesso modo anche l’ACF, nelle proprie FAQ, ha precisato che “le decisioni dell’ACF non sono, tuttavia, legalmente vincolanti per le parti: intermediario e cliente hanno sempre la facoltà di ricorrere al Giudice e l’ACF non ha il potere di costringere l’intermediario ad eseguire la decisione ma, nel caso in cui l’intermediario non dovesse adempiere, si darà luogo all’applicazione di una sanzione reputazionale consistente nella pubblicazione su più strumenti di comunicazione della notizia del mancato adempimento” (cfr. FAQ dell’ACF – risposta alla questione “Qual è la differenza tra l’ACF e la conciliazione?”).

[3] Precisamente il Tribunale di Roma ha osservato che “Le decisioni del Collegio ABF non sono vincolanti né hanno idoneità passare in giudicato o costituire titolo esecutivo; la adizione del sistema ADR, conclusasi tanto con l’accoglimento tanto con il rigetto della pretesa, non preclude in alcun modo il ricorso ad ogni altro mezzo di tutela offerto dall’ordinamento”.

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