Chi si occupa di questioni giuridiche in materia di valute virtuali si trova da tempo in fremente attesa del decreto ministeriale che dovrebbe istituire, una buona volta, la sezione speciale del registro dei cambiavalute tenuto dall’OAM[1]. Secondo alcune indiscrezioni il decreto sarebbe quasi in arrivo, ma l’attesa permane.
Frattanto, scandagliando i lavori parlamentari, ci si imbatte in una proposta di legge (n. 3131), presentata a maggio 2021, dal titolo: “Disposizioni in materia di trattamento tributario delle operazioni in valute virtuali nonché disciplina degli obblighi antiriciclaggio”[2].
Il testo si compone di due articoli, preceduti da una relazione di tre pagine. Ci soffermeremo sulla relazione introduttiva e sul primo articolo, mentre il secondo tratta di questioni eminentemente tributarie, che lascerei alla competenza degli esperti.
La relazione esordisce con una critica alla nostra Nazione, che avrebbe avuto “…troppo spesso un approccio conservativo, che ha depresso l’innovazione nel settore della finanza”.
L’affondo non è motivato e non è dato comprenderlo appieno, se non quale preambolo relativamente a quanto si legge appena dopo: “…le valute virtuali … possono rappresentare un’opportunità favorevole e condivisibile come mezzo di pagamento nel panorama tecnologico in rapida evoluzione, in grado di contribuire al benessere dei cittadini e allo sviluppo economico anche nel settore finanziario…”. Pare di leggere un proclama di Satoshi Nakamoto (!)[3].
La relazione è poi ingenerosa nell’affermare che “…in Italia…il fenomeno delle valute virtuali è stato preso in considerazione solo marginalmente dal punto di vista legislativo…”. Forse non ricorda, il presentatore, che l’Italia ha precorso i tempi nel conferire cittadinanza giuridica alle valute virtuali ed agli operatori del settore, mediante il decreto antiriciclaggio n. 90/2017.
Anche sul piano tributario l’Agenzia delle Entrate ha preso ripetutamente posizione[4].
Ciò che invece manca, in Italia, è il registro ricordato in esordio. Così come manca, allo stato, un censimento ufficiale degli operatori in valute virtuali, censimento che in via di fatto viene formato tempo per tempo dalla UIF[5] anche sulla base – ritengo – delle adesioni ricevute, da parte degli operatori, al sistema “infostat” per le segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio, obbligo questo a cui gli operatori in valute virtuali sono già soggetti, benché non ancora iscritti nel tanto atteso registro, precisamente dal 2017, in forza del richiamato D. Lgs. n. 90/2017. Così come non esiste, a ben vedere, una precisa autorità di vigilanza di settore per gli operatori stessi.
Tornando al testo della proposta, tralascerò dunque i profili tributari e mi limiterò ad esprimere alcune osservazioni su questioni terminologiche e sistematiche non marginali. Per brevità, utilizzerò le abbreviazioni VA (virtual asset), per riferirmi alle valute virtuali e VASP, per riferirmi agli operatori del settore[6].
Ciò premesso, nella relazione introduttiva della proposta si legge:
- che l’art. 1, comma 1 prevederebbe “…il riconoscimento fiscale delle valute virtuali”; a questo proposito, però, è facile notare che, al di là della atipicità dell’accezione “riconoscimento fiscale”, il Fisco Italiano già conosce l’esistenza dei VA e dei VASP, giuste le determinazioni dell’Agenzia delle Entrate sopra richiamate;
- si legge altresì che le modifiche alla legge antiriciclaggio[7] di cui all’art. 1, comma 2, stabilirebbero che i VASP “…rientrano all’interno delle definizioni soggette a vigilanza”; a questo proposito, però, è facile notare che, al di là, ancora una volta, della singolare terminologia adottata (non esistono, mi pare, definizioni soggette a vigilanza), l’ipotesi di assoggettare a vigilanza i VASP presuppone: 1°) che sia previamente individuata l’Autorità di Vigilanza di settore, oggi mancante; 2°) che si intervenga a modificare, di conseguenza, la norma di vigilanza di riferimento (ad es. il TUB o il TUF); 3°) che si valuti molto concretamente l’impatto che ne deriverebbe sui VASP soprattutto se di dimensioni contenute; 4°) che si accetti l’incongruenza di prevedere l’assoggettamento a poteri di vigilanza di una categoria ancora non censita e tuttora priva dell’atteso registro pubblico;
- si legge infine che i VASP, sotto il profilo degli obblighi antiriciclaggio, “…rientrano nella categoria degli intermediari bancari e finanziari”; con ciò, la scelta sembrerebbe esplicitata: l’autorità di vigilanza di settore sarebbe dunque la Banca d’Italia e la normativa di vigilanza applicabile sarebbe quella contenuta nel TUB e nelle relative norme secondarie; con la precisazione, però, che – in realtà – le premesse vengono poi smentite dall’articolato, ove si legge, all’art. 1, comma 2, lett. b) che gli stessi VASP rimarrebbero ricompresi in una delle categorie di obbligati antiriciclaggio di cui all’art. 3, comma 5 del D. Lgs. 231/2007, vale a dire, gli “altri operatori non finanziari”.
Venendo al testo normativo, l’art. 1 contiene la seguente definizione di valuta virtuale: “unità matematica”. Detta definizione viene declinata così: “l’unità minima matematica crittografica, statica o dinamica, suscettibile di rappresentare diritti, con circolazione autonoma”.
Da notare che ciò discenderebbe da un passaggio della relazione introduttiva secondo cui: “…risulta indispensabile fornire una definizione chiara di cosa si intenda con il temine di valute virtuali” (!).
Da notare poi che il proponente stesso sembrerebbe scordarsi della nuova denominazione (tutt’altro che chiara); infatti, nel prevedere, agli artt. 1 e 2, una serie di modifiche a varie norme tributarie, inserendovi specifici riferimenti ai VA, la proposta utilizza sempre unicamente il termine di “valute virtuali”, trascurando invece del tutto l’unità matematica di nuovo conio.
Sempre l’art. 1 (al comma 2, lettera c) prevede ciò che la relazione introduttiva chiama come “semplificazione delle procedure di adeguata verifica” (ai fini antiriciclaggio), che si realizzerebbe attraverso l’introduzione di due richiami ai VA precisamente nell’art. 23 del D. Lgs. n.231/2007, in tema, come noto, di “misure semplificate di adeguata verifica della clientela”.
Dette integrazioni riguardano i casi in cui le operazioni di cambio valute virtuali/valute fiat e di “…memorizzazione o il trasferimento di valute virtuali” non superino il valore di 150 euro.
Orbene, francamente, detto limite di 150 euro mi pare risibile.
In conclusione, l’iniziativa volta a legiferare in materia di valute virtuale è meritoria, ma il testo commentato andrebbe pesantemente riveduto.
[1] Trattasi dell’Organismo Agenti e Mediatori, istituito ai sensi del Decreto Legislativo n. 141/210. A tale Organismo è demandata la tenuta del registro dei cambiavalute, nella cui istituenda sezione speciale dovranno iscriversi gli operatori in valute virtuali, giuste previsioni di cui al D. Lgs. n. 90/2017
[2] Trattasi della proposta di legge n. 3131 d’iniziativa del deputato Zanichelli, presentata il 24 maggio 2021.
[3] Satoshi Nakamoto è lo pseudonimo dietro cui si cela l’anonimo misterioso inventore della moneta digitale (ottobre 2008).
[4] Si vedano: la “risposta” n. 788/2021; la “risposta” n. 14/2018; la risoluzione n.72 del 2/9/2016.
[5] Si veda il rapporto annuale UIF per il 2020 in www.bancaditalia.it.
[6] Trattasi di abbreviazioni di uso comune, fatte proprie anche dal MEF, perlomeno dalla pubblicazione delle Linee guida per un approccio ai virtual asset e ai prestatori di servizi in materia di virtual asset basato sul rischio (traduzione delle linee guida del GAFI allora vigenti) del 2019, in www.mef.gov.it.
[7] Trattasi naturalmente del D. Lgs. n. 231/2007 e successive modifiche e integrazioni.