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Attualità

A vent’anni dall’adozione del d.lgs. 231/2001 si torna a parlare di responsabilità civile dell’OdV

8 Settembre 2021

Bruno Giuffrè, Partner, DLA Piper

Di cosa si parla in questo articolo

Nei vent’anni di applicazione del d.lgs. 231 del 2001 (il “Decreto”), non consta una sola sentenza in tema di responsabilità civile dell’Organismo di Vigilanza (“OdV”) di un ente condannato per uno dei “reati presupposto” del vasto catalogo del Decreto. Si potrebbe allora già concludere che – così come vi è ampio consenso circa il fatto che l’OdV non risponde penalmente del reato presupposto per omessa vigilanza in base all’art. 40, 2° comma, c.p. – non è neppure ravvisabile una responsabilità civile dell’OdV, o meglio dei suoi membri, in caso di condanna dell’ente per un reato reso possibile dalla loro omessa vigilanza. Senonché, tale conclusione sarebbe frettolosa e giuridicamente non corretta e, del resto, una pronuncia recente ha riacceso il dibattito in merito.

Con la sentenza Monte Paschi di Siena, il Tribunale Penale di Milano ha, per la prima volta in modo così esplicito, accertato l’omessa vigilanza da parte dell’OdV e l’ha direttamente collegata alla responsabilità da reato dell’ente, osservando tra l’altro che “l’organismo di vigilanza ha assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto, nella vorticosa spirale degli eventi (dalle allarmanti notizie di stampa sino alla débâcle giudiziaria) che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato” (Trib. Milano, sent. n. 10748/2021).

A prescindere dal merito del caso specifico e in attesa dell’appello, pare opportuno allora chiedersi se una simile, inequivocabile, sanzione della cattiva condotta dell’OdV possa fondare un’azione civile nei confronti di tutti o alcuni dei suoi membri, mediante la quale i soggetti che si ritengono danneggiati dalla condanna dell’ente per il reato presupposto potrebbero ottenere un risarcimento dei danni che ne fossero in ipotesi derivati.

E’ ovvio che il primo soggetto che può avere interesse a proporre tale azione è proprio l’ente che, avendo subito la condanna ex Decreto in sede penale, voglia vedere risarcito il pregiudizio patrimoniale costituito dalle sanzioni ricevute, o anche dalle ulteriori conseguenze dannose del processo quali, ad esempio, la condanna come responsabile civile, le spese di difesa, le misure rimediali attuate secondo il Decreto, la perdita di profitto in conseguenza dell’interruzione dell’attività, il danno reputazionale.

Vi sono altri stakeholder che potrebbero sostenere di essere stati a loro volta danneggiati dal reato o, più esattamente, dalla accertata responsabilità ex Decreto dell’ente derivante dalla violazione degli obblighi (o oneri) di compliance stabiliti dallo stesso (la cd. colpa di organizzazione che fonda, appunto, la responsabilità ex Decreto dell’ente). I primi a cui vien fatto di pensare sono le parti offese dal reato (di cui è tuttora dibattuto in giurisprudenza il diritto di costituirsi parte civile contro l’ente nel processo penale); altri possibili titolari dell’azione sono gli azionisti o anche i terzi finanziatori dell’ente o coloro che abbiano subito un pregiudizio in conseguenza dell’interruzione della sua attività (partner contrattuali, dipendenti).

A ben vedere, tuttavia, la natura dell’OdV di articolazione organizzativa dell’ente priva di rilevanza esterna e quindi di obblighi verso i terzi, vale a dire la sua funzione meramente endosocietaria, ormai riconosciuta dalla giurisprudenza e dalla dottrina, portano ad escludere l’azione dei terzi nei confronti dell’OdV, essendo il danno dei terzi in tali ipotesi un mero riflesso del pregiudizio eventualmente arrecato al patrimonio dell’ente.

Ricorrendone i presupposti, questi stakeholder potrebbero semmai promuovere l’azione nei confronti dell’ente e questo, ove risultasse soccombente, potrebbe rivalersi nei confronti dell’OdV nei termini qui discussi.

Così limitato all’ente il perimetro della legittimazione attiva, occorre a questo punto individuare quali siano gli elementi da provare e su chi gravi l’onere di tale prova nel giudizio civile per danni.

In assenza di previsioni specifiche nel Decreto e dovendosi escludere l’applicazione in via analogica delle norme in tema di responsabilità degli organi sociali, all’azione dell’ente contro i membri dell’OdV dovranno applicarsi le regole generali in materia di responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.). Ciò comporta che, quale attore nel giudizio, l’ente avrà l’onere di dimostrare (i) il titolo costitutivo del rapporto (cioè il contratto, l’atto di nomina dell’OdV e/o dei singoli membri, nonché quelle parti del modello di organizzazione e gestione che disciplinano la funzione di OdV), potendosi limitare ad allegare l’inadempimento, (ii) l’esistenza e l’entità del danno e (iii) il nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno.

I membri dell’OdV convenuti, in risposta, dovranno invece dimostrare di aver adempiuto, ovvero che l’inadempimento non è ad essi imputabile.

Per quanto riguarda l’inadempimento, la dottrina è concorde nel ritenere che l’obbligazione dell’OdV sia di comportarsi secondo diligenza e che si tratti di un’obbligazione di mezzi, non di risultato. In altri termini, l’OdV non è tenuto a garantire il risultato di prevenire (ossia evitare la commissione) del reato presupposto da parte di esponenti dell’ente, e neppure che, nel caso in cui il reato-presupposto venga commesso, all’ente sia riconosciuta l’esimente prevista dagli artt. 6 e 7 del Decreto. L’OdV, pertanto, non potrà essere ritenuto inadempiente ai suoi doveri per il solo fatto che l’ente sia stato condannato.

L’OdV incorrerà in responsabilità solo se la sua condotta si sarà discostata dallo standard comportamentale a cui è tenuto e che dovrà essere determinato in base all’art. 1176 c.c.. Precisamente, ciascun membro dell’OdV è tenuto a un grado di diligenza che non è semplicemente quello del buon padre di famiglia, bensì quello, più elevato, del professionista di cui al 2° comma dell’art. 1176 c.c., che tiene conto della natura dell’attività esercitata, dovendosi presumere che egli sia uno specialista nel settore. Si deve ritenere, inoltre, che non trovi applicazione l’art. 2236 c.c. (che limita la responsabilità al dolo e alla colpa grave), in quanto la soluzione di problemi di speciale difficoltà costituisce proprio la prestazione tipica dell’OdV.

Né potrebbero i membri dell’OdV difendersi sostenendo che ciascuno di essi ha una particolare competenza e che quindi, ove il reato fosse stato compiuto in un ambito aziendale in cui quella competenza non viene in rilievo (per esempio un reato con violazione delle norme in materia di sicurezza sul luogo di lavoro rispetto a una specializzazione in reati contro la pubblica amministrazione), lo standard di diligenza più elevato potrebbe essere richiesto solo agli esperti e ancora che i “non esperti” debbano rispondere solo in caso di dolo o colpa grave.

Agli OdV è richiesta infatti una competenza ampia e trasversale che abbraccia tutte le aree di rischio-reato esistenti (quantomeno) all’interno dell’ente che lo nomina, ed anzi la professionalità richiesta (o che dovrebbe essere richiesta) agli OdV è multidisciplinare, dovendo spaziare, a seconda dei casi, tra i diversi ambiti del diritto (non solo penale) e delle discipline aziendalistiche che possono venire attivati dai rischi aziendali, così come individuati dal modello di organizzazione e gestione.

Risulta particolarmente difficile definire il contenuto dello standard comportamentale richiesto all’OdV in assenza di parametri fissati nel Decreto, che, come è noto, contiene disposizioni scarne sull’OdV. In assenza di qualsiasi tipizzazione, l’adempimento dell’OdV dovrà dunque essere valutato avendo riguardo al caso concreto, tenendo conto delle previsioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente su cui l’OdV era chiamato a vigilare ed eventualmente dei compiti specifici che erano stati conferiti all’OdV nell’atto di nomina e nei relativi accordi.

In questa chiave, avrà anche rilievo che l’OdV si sia attenuto o meno (e abbia fatto sì che l’ente che lo ha nominato si adeguasse) ai codici di comportamento emanati dalle associazioni rappresentative degli enti, ed anche alle best practice di settore.

L’estraneità dell’OdV al processo penale ex Decreto a carico dell’ente esclude l’effetto vincolante del giudicato penale nei confronti dei suoi membri anche nei casi in cui il giudice penale si sia pronunciato espressamente sul suo operato, rilevando specifiche criticità, come nel caso MPS. Il giudice civile potrà tuttavia valutare, nella formazione del suo convincimento, anche le prove acquisite in un processo diverso (come quello penale), utilizzandole come semplici indizi idonei a fornire elementi di giudizio aggiuntivi rispetto a quelli addotti dalle parti secondo la ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 1218 c.c..

Quanto al danno e al nesso di causalità con l’inadempimento, per essere risarcibile il danno dovrà essere conseguenza diretta, immediata e prevedibile della condotta dannosa (artt. 1223 e 1225 c.c.). Ne deriva che la responsabilità civile dell’OdV andrà nella maggior parte dei casi limitata al danno emergente, e in particolare al pregiudizio patrimoniale subito per effetto dell’applicazione delle sanzioni ex Decreto. Sarebbe difficile contestare, del resto, che la sanzione possa essere in determinati casi conseguenza diretta e prevedibile dell’omessa vigilanza dell’OdV. Tuttavia, anche la perdita di guadagno causata dall’eventuale interruzione dell’attività dovuta all’applicazione all’ente di una sanzione interdittiva e il profitto confiscato potrebbero presentare i requisiti della risarcibilità, potendo costituire anch’essi la conseguenza naturale, e come tale prevedibile, dell’inadempimento ai doveri di vigilanza.

Una volta che l’ente fosse riuscito a provare i tre elementi (titolo, danno e nesso di casualità), all’OdV non resterebbe che dimostrare, per sfuggire alla condanna al risarcimento, che ha adempiuto correttamente ai suoi doveri e che quindi la condanna ex Decreto dell’ente sia stata dovuta ad altre cause (per esempio la non idoneità originaria o sopravvenuta del modello di organizzazione e gestione o la mancata adozione da parte dell’ente delle modifiche e degli aggiornamenti suggeriti dall’OdV); ovvero che l’inadempimento sia dipeso da una causa che non gli è imputabile, cioè l’assenza di colpa.

In proposito, viene subito da pensare all’elusione fraudolenta del modello di organizzazione gestione e controllo da parte dei soggetti apicali autori del reato, prevista dall’art. 6, comma 1, del Decreto, che non sia già emersa nel processo penale a carico dell’ente e che quindi non abbia consentito l’applicazione dell’esimente.

L’eccezione più robusta a disposizione dell’OdV è tuttavia il concorso causale del danneggiato ex art. 1227 c.c.. Anche nel caso più estremo di omissione totale e acclarata della vigilanza, infatti, sarà difficile determinare che la condotta dell’OdV sia stata la causa unica ed esclusiva della condanna e, quindi, del danno.

Anche non volendo considerare gli autori del reato o il modo in cui l’ente si è difeso nel processo, nella maggior parte dei casi l’OdV avrà buon gioco a convincere il giudice civile che per primi gli organi sociali dell’ente hanno concorso alla causazione del danno trascurando o omettendo a loro volta dei passaggi rilevanti della costruzione e del mantenimento di una compliance 231 adeguata, nel quadro dei doveri sanciti dall’art. 2086 c.c..

Nei casi più gravi, come quelli in cui il modello di organizzazione e gestione sia stato carente fin dall’origine (anche per esempio con riferimento ai requisiti dell’OdV) si potrebbe arrivare a concludere che la colpa dell’imprenditore in relazione a tali carenze abbia addirittura interrotto la catena causale tra azioni ed omissioni dell’OdV e danno, così consentendo di escludere integralmente la responsabilità di quest’ultimo, come previsto dall’art. 1227, 2° comma, c.c..

A ben vedere, anzi, proprio questa contrapposizione di interessi tra l’ente e i suoi gestori, da un lato, e l’OdV, dall’altro, destinata ad emergere in sede di allocazione della responsabilità (civile) costituisce la ragione principale per cui non vengono proposte azioni legali nei confronti dell’OdV.

In conclusione, per quanto l’assenza di precedenti possa tuttora rassicurare gli OdV, le dure parole dei giudici milanesi devono suonare come un monito. D’altronde, sono due decenni che si discute, tra i molti temi sollevati dall’introduzione della responsabilità amministrativa degli enti, dello status dell’OdV all’interno dell’organizzazione dell’impresa, e la discussione non può prescindere dal riconoscimento della piena accountability (anche) degli attori del sistema dei controlli, nel quadro (e nel rispetto) dei principi generali in tema di responsabilità civile che si sono qui sommariamente ricordati.

Su questo fronte, dai loro diversi e potenzialmente contrapposti punti di vista, le imprese e i componenti degli OdV (o chiunque valuti la possibilità di entrarne a far parte) faranno bene a utilizzare preventivamente gli strumenti contrattuali messi a disposizione dall’ordinamento e elaborati dalla prassi, ad esempio dedicando una convenzione specifica alla responsabilità dell’OdV, che ne delimiti il perimetro e ne stabilisca le regole di ingaggio. Tra gli strumenti per la gestione dei rischi professionali e aziendali spicca naturalmente l’assicurazione che, se propriamente congegnata, presta una valida tutela del patrimonio del componenti dell’OdV e, di conseguenza, dell’ente nell’eventualità di una condanna ex Decreto per un reato – presupposto.

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