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Attualità

Venture Capital: novità per Casse di previdenza e Fondi pensione

3 Marzo 2025

Jacopo Drudi, Partner, United Ventures

Federico Aquilanti, Managing Associate, Legance

Di cosa si parla in questo articolo

Il contributo analizza la recente modifica normativa – legge 16 dicembre 2024, n. 193 relativa agli investimenti di Casse di previdenza e Fondi pensione a sostegno del Venture Capital.


1. Nuove misure a sostegno del Venture Capital

Nel nostro paese, l’industria del Venture Capital (“VC”) è da considerarsi relativamente giovane. Se negli Stati Uniti il primo “fondo” di VCl’American Research and Development Corporation – viene lanciato nel 1946, in Italia, i primi veicoli destinati a finanziare, sotto forma di equity o di strumenti ibridi, i primi anni di vita di società innovative e ad alto contenuto tecnologico, nascono nei primi anni ’90, al traino di alcune iniziative europee, partite pochi anni prima, ma già con un importante ritardo nei confronti del mondo statunitense.

Nel corso del ventennio 1990-2010, l’evoluzione dei mercati finanziari e, conseguentemente, della normativa, stimolata dalla nascita dell’area Euro e dallo sviluppo di internet e di tecnologie digitali disruptive, ha reso possibile anche in Italia la nascita dei primi fondi di VC.

Dal 2010, la crescita del settore in Italia è stata lenta ma continua, con investimenti inferiori a Euro 400 milioni nel 2019 e di poco superiori a Euro 500 milioni nel 2020, fino al momento di svolta, segnato dal biennio 2021-2022, con il mercato che è esploso fino a toccare Euro 1,3 miliardi nel 2021 e oltre Euro 2,0 miliardi nel 2022, grazie all’effetto combinato della ripresa dei mercati post-pandemia e della crescente domanda di digitalizzazione. Sebbene il contesto macroeconomico abbia successivamente raffreddato gli animi, l’industry è stata in grado di confermare il proprio valore sempre sopra la soglia psicologica di Euro 1,0 miliardi anche nel 2023 e nel 2024; inoltre, a partire dal 2023 si sta incrementando il numero delle transazioni guidate da operatori di VC stranieri in Italia.

L’auspicio è che le novità normative introdotte dalla Legge 16 dicembre 2024, n. 193, che prendono spunto da quanto fatto in alcune geografie europee, possano aiutare il nostro paese ad incrementare ulteriormente i capitali investiti in tecnologia attraverso una asset class che offre un rapporto rischio/rendimento appealing e prospettive di ritorno decorrelate dall’andamento dei mercati tradizionali. Come menzionato ne “Il rapporto sul futuro della competitività europea” di Mario Draghi la limitata allocazione in VC da parte dei pension funds rappresenta uno tra i principali ostacoli alla competitività tecnologica.

Il riferimento è all’articolo 33 della Legge 16 dicembre 2024, n. 193 che ha modificato l’articolo 1, commi 90 e 94 della Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (“L. 232/16”), introducendo nuovi criteri di investimento per Casse di previdenza private e Fondi pensione al fine di favorire i relativi investimenti in start-up innovative.

La finalità della norma è chiaramente quella di incentivare gli investimenti in start-up innovative, attraverso la modifica della disciplina degli investimenti qualificati effettuati dalle Casse di previdenza private e dai Fondi pensione[1].

Rispetto alla proposta normativa originaria che prevedeva che un 2% dell’attivo patrimoniale di tali investitori istituzionali fosse destinato a Fondi per il VC di cui all’art. 1, co. 89, lett. b-ter), della L. 232/16[2], la norma vigente prevede un criterio diverso che stabilisce che gli investimenti in Fondi per il VC siano almeno pari al 5 per cento (10 per cento a partire dal 2026) del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente dei citati investitori istituzionali.

In sostanza, la norma condiziona le agevolazioni fiscali previste dalla L. 232/16 per Casse di previdenza private e Fondi pensione (i.e. non imponibilità dei proventi) alla circostanza che almeno il 5 per cento e, a partire dal 2026, almeno il 10 per cento del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente sia destinato a investimenti qualificati in quote o azioni di Fondi per il VC di cui all’art. 1, co. 89, lett. b-ter), della L. 232/16.

2. Il contesto normativo: le agevolazioni fiscali per le Casse di Previdenza e i Fondi Pensione

Come noto, per i redditi derivanti dagli investimenti qualificati di cui all’art. 1, co. 89, della L. 232/16[3] effettuati dalle Casse di previdenza private e dai Fondi pensione è previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2017, un regime di non imponibilità. In particolare, le Casse di previdenza e i Fondi pensione possono destinare “… somme fino al 10 per cento dell’attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente …” ai predetti investimenti qualificati, nonché ai PIR.

L’agevolazione prevede che i redditi derivanti da tali investimenti qualificati, effettuati nel rispetto delle condizioni stabilite per legge, non siano assoggettati all’imposta sul reddito, per gli enti di previdenza obbligatoria (casse di previdenza), e non concorrano alla formazione della base imponibile su cui si applica l’imposta sostitutiva di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n. 252 del 2005, per gli enti di previdenza complementare (fondi pensione).

Al fine di beneficiare di tale regime, gli strumenti finanziari oggetto di investimento qualificato devono essere detenuti per almeno cinque anni.

Nonostante le agevolazioni fiscali appena descritte, il contesto normativo pare non abbia raggiunto le finalità prefissate di supporto degli investimenti nel VC.

A questo proposito, fonti pubbliche AIFI mostrano che nel 2023 le masse gestite investite dalle Casse di Previdenza e dai Fondi Pensione in Private Capital (Private Equity, Venture Capital, Private Debt, Infrastructure, Real Estate e Secondario) erano pari a circa Euro 30 miliardi, poco meno del 10% del totale del patrimonio gestito da questi operatori istituzionali (stimato in circa Euro 340 miliardi), di cui il solo 25% riservato a Private Equity e VC (circa Euro 7,5 miliardi).

Sebbene la percentuale di allocazione destinata al Private Equity e al VC sia in crescita e si stia attestando tra il 35% e il 40% dei nuovi commitment annuali, il mercato è ancora lontano dal 60% che gli operatori esteri riservano a queste asset class. Inoltre, il rapporto tra Private Equity e VC è fortemente sbilanciato a favore dei primi gestori, con il VC che raccoglie meno del 10% del totale delle allocazioni destinate alle due asset class.

In un mercato che nel triennio 2021-2023 ha visto investimenti in Private Capital per circa Euro 10 miliardi totali, le risorse finanziarie allocate dalle Casse di Previdenza e dai Fondi Pensione al mondo delle start-up tecnologiche altamente innovative sono stati all’incirca pari a Euro 250 milioni (si stima circa il 2,50% del totale investito in Private Capital), circa Euro 75 milioni all’anno (su un mercato che, come visto, oggi vale almeno Euro 1,0 miliardi all’anno).

Questi dati confermano che al momento sono ancora poche le Casse di Previdenza e i Fondi Pensione che investono in VC e che i fondi destinati allo sviluppo tecnologico del paese da parte di questi soggetti è ancora limitato; tuttavia, questa nuova normativa pare essere destinata a cambiare gli assetti precedenti, generando uno “shock” soprattutto a partire dal 2026, quando gli investimenti minimi in VC per ottenere le agevolazioni fiscali saliranno al 10%, potenzialmente triplicando le risorse a disposizione dei gestori.

3. Il nuovo criterio di investimento: prime questioni interpretative e applicative

In base alla nuova normativa qui in esame, le agevolazioni fiscali previste dalla L. 232/16 per Casse di previdenza private e Fondi pensione (i.e. non imponibilità dei proventi) sono condizionate alla circostanza che almeno il 5 per cento e, a partire dal 2026, almeno il 10 per cento del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente di tali enti sia destinato a investimenti qualificati in quote o azioni di Fondi per il VC di cui all’art. 1, co. 89, lett. b-ter), della L. 232/16. Occorre ricordare che le Casse di previdenza private e i Fondi pensione possono destinare somme, fino al 10 per cento dell’attivo patrimoniale risultante del rendiconto dell’esercizio precedente, agli investimenti qualificati di cui all’art. 1, co. 89, della L. 232/16, nonché ai PIR.

Ipotizzando che tali enti decidano di investire (in quanto disponibile) il 10% del loro attivo patrimoniale in investimenti qualificati, questo significa che la percentuale di investimento destinata ai Fondi di VC sarebbe pari allo 0,5 per cento per il 2025 e, a partire dal 2026, all’1 per cento dell’attivo patrimoniale. A questo proposito, come precisato dall’Agenzia delle entrate, ai fini dell’applicazione del limite del 10 per cento, si ritiene che “… qualora in un esercizio vengano effettuati investimenti [qualificati] fino al limite del 10 per cento nell’esercizio possono essere effettuati investimenti agevolabili solo nei limiti del 10 per cento dell’incremento dell’attivo patrimonialeResta fermo che, in ogni caso, l’investimento incrementale effettuato negli esercizi successivi può essere effettuato sino al raggiungimento del limite del 10 per cento dell’attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente, qualora nell’esercizio precedente gli investimenti siano stati effettuati “sotto soglia …”[4].

Per stabilire, quindi, la quota di investimenti destinata ai Fondi di VC occorrerà tenere conto di una serie di fattori, tra cui, in particolare, la quota di attivo patrimoniale disponibile per effettuare investimenti qualificati e la quota investita nei Fondi di VC nei vari esercizi (a partire dal 2025). A titolo di esempio, ipotizziamo che un Fondo pensione abbia chiuso l’esercizio 2024 con un attivo patrimoniale di Euro 100 milioni, di cui Euro 8 milioni (8 per cento) destinati ad investimenti qualificati. Nell’esercizio 2025, sul presupposto che non si verifichi alcuna diminuzione patrimoniale, il Fondo pensione potrà effettuare ulteriori investimenti qualificati per Euro 2 milioni, di cui Euro  400.000 (5% * € 8.000.000) dovranno essere destinati a Fondi di VC, nel rispetto del nuovo criterio.

La norma prevede poi una specifica clausola di salvaguardia, che fa salvo il riconoscimento del citato beneficio fiscale sui redditi derivanti dagli investimenti già effettuati alla data di entrata in vigore della norma (18 dicembre 2024)[5]. In assenza di chiarimenti sul punto, il riferimento agli “investimenti già effettuati” sembrerebbe doversi interpretare agli impegni di investimento (commitment) già assunti da parte delle Casse di previdenza private e dai Fondi pensione (anche in assenza del relativo esborso finanziario/drawdown).

Prima facie, la norma pone una serie di questioni interpretative e applicative:

  • innanzitutto, pare lecito chiedersi quale sia il “paniere degli investimenti qualificati” rilevante ai fini della normativa in esame. In base a un’interpretazione letterale della norma sembrerebbero inclusi nel paniere degli investimenti qualificati esclusivamente gli investimenti di cui all’art. 1, co. 89, della L. 232/16. Sebbene non espressamente menzionati, a parere di chi scrive, dovrebbero rientrare nel citato paniere anche gli investimenti effettuati in PIR, stante la sostanziale equiparazione operata dall’art. 1, commi 88 e 92, della L. 232/16 ai fini del limite di investimento del 10% dell’attivo patrimoniale in capo alle Casse di previdenza private e ai Fondi pensione;
  • in secondo luogo, non appare chiaro se ai fini del calcolo del 5% / 10% il “paniere degli investimenti qualificati” debba essere assunto a valori correnti (NAV o FMV) oppure in base ai valori di acquisto / sottoscrizione dell’investimento. In assenza di chiarimenti sul punto, la soluzione più ragionevole pare essere la seconda, ossia fare riferimento ai valori di acquisto / sottoscrizione dell’investimento;
  • in terzo luogo, occorre precisare quali sono i Fondi di VC rilevanti ai fini della normativa in esame. Considerato il richiamo all’art. 1, co. 89, lett. b-ter), della L. 232/16, i Fondi di VC “qualificati” ai fini della normativa in esame dovrebbero essere quelli definiti dall’art. 1, co. 213, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145[6]. Pur in assenza di indicazioni sul punto, pare ragionevole ritenere, anche in coerenza con la prassi dell’Agenzia delle entrate in tema di PIR[7], che i vincoli di investimento previsti dall’art. 1, co. 213, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145 debbano essere specificamente indicati nel regolamento o nella documentazione di offerta del Fondo di VC;
  • infine, occorre domandarsi quali siano le conseguenze derivanti dal mancato rispetto del nuovo criterio (5% / 10%). La conseguenza principale derivante dal mancato rispetto di tale criterio dovrebbe essere la perdita del beneficio fiscale per la Cassa di previdenza privata e/o il Fondo pensione in relazione ai proventi derivanti da tutti gli investimenti qualificati dell’esercizio assoggettati al nuovo criterio[8].

4. Prime riflessioni sugli effetti della nuova normativa nei confronti di investitori e gestori

Come anticipato, le allocazioni destinate al VC sono state storicamente molto limitate in Italia, soprattutto se confrontate con i mercati esteri. I fattori che hanno influito negativamente sulle allocazioni riguardano sia la natura degli investitori che la stessa industria del VC.

Le Casse di Previdenza e i Fondi Pensione hanno prediletto scelte di investimento di medio periodo con rischi decisamente più contenuti, maggiormente allineati con gli obiettivi del sottostante previdenziale. Allo stesso tempo, la lenta evoluzione del settore del VC, in termini di gestori, start-up e legislazione, non ha stimolato l’appeal del settore. Non da ultimo, il ridotto coinvolgimento delle large corporate italiane ed europee, che ha portato alla mancanza di un numero ragionevole di exit di successo, combinato con una cultura storicamente avversa alla mentalità del fallimento ha posto agli investitori alcuni dubbi circa l’effettiva capacità del VC di generare alti ritorni nel medio periodo.

Il nuovo criterio si pone come strumento per superare parte delle limitazioni che hanno connotato il settore, spingendo gli investitori previdenziali a partecipare con maggiori risorse, così da stimolare la crescita dell’industria tech anche in Italia. In ottica di asset allocation, oggi il VC si posiziona come asset class con rapporto rischio/rendimento decisamente interessante (double digit IRR) combinata con una elevata decorrelazione dall’andamento dei mercati tradizionali, offrendo pertanto l’opportunità di ottenere flussi di dividendi anche in momenti di mercato depressi.

Tuttavia, nonostante l’accelerazione post-Covid, facilitata soprattutto dalle prime exit di successo che stanno creando quell’indispensabile circolo virtuoso di “serial founder, il VC non diventerà un dogma per tutti gli investitori.

L’augurio è che queste novità consentano di raggiungere la massa critica necessaria per sviluppare un ecosistema di innovazione efficiente ed efficace, che possa competere a livello internazionale. Le start-up tecnologiche sono motori di innovazione: la creazione di un ecosistema di VC solido e dinamico rappresenta un investimento strategico per il futuro del paese. In particolare, la crescita del VC è indispensabile per lo sviluppo tecnologico del paese, in un contesto macroeconomico dove il primato tecnologico e la generazione di standard tech globali è ogni giorno più critico.

Ad ogni modo, quel che è auspicabile, è che queste novità normative non vadano a discapito delle allocazioni in Private Equity, ma che le nuove risorse vadano a ridurre i commitment destinati ad asset class già sovra-allocate. I dati oramai confermano che il Private Equity, insieme con il VC, sono le asset class che creano maggiore valore non solo per gli investitori, ma soprattutto per il paese, aiutando e sostenendo la crescita dell’economia reale in termini di nuovi posti di lavoro, import/export, investimenti in tecnologia, investimenti sul territorio e più risorse a disposizione delle comunità.

Il mondo del Private Equity italiano ha mostrato negli ultimi anni una crescita significativa, sia in termini di investimenti che di rendimenti; le associazioni di categoria stimano che gli operatori abbiano investito complessivamente circa Euro 40 miliardi dal 2014 al 2023 in Italia. Oggi, il mutato scenario macroeconomico ha obbligato anche i gestori di Private Equity a valutare nuove strategie di raccolta, con l’obiettivo di efficientare la performance dei veicoli di investimento.

Di conseguenza, i gestori di Private Equity, potendo fare leva su un ampio e sofisticato network di investitori – principalmente istituzionali, tra cui Casse di Previdenza e Fondi Pensione –, hanno optato per una diversificazione dei prodotti offerti, assumendo team dedicati alla gestione di nuove asset class. I nuovi fondi lanciati da operatori tradizionalmente di Private Equity hanno principalmente riguardato prodotti di debito (private debt) o di credito (private credit), in quanto il sottostante era noto e conosciuto, ossia una società con una performance storica e un piano prospettico, operante in un settore maturo.

Le novità normative in esame potrebbero modificare lo scenario visto fino ad oggi e spingere i gestori di Private Equity verso la costituzione di veicoli di VC, con l’obiettivo di raccogliere parte delle nuove risorse immesse sul mercato; del resto, se il gestore ha ben performato nel corso degli anni e ha una solida relazione con la Cassa di Previdenza o il Fondo Pensione, il passo potrebbe non essere così complicato.

 

[1] Si veda il Dossier del servizio studi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica del 4 dicembre 2024 (A.S. n. 1318).

[2] La versione originaria della proposta normativa prevedeva una modifica della quota dell’attivo patrimoniale che gli enti di previdenza obbligatoria e le forme di previdenza complementare possono destinare agli investimenti qualificati (dal 10% all’8%) prevedendo tuttavia che un ulteriore 2% dell’attivo patrimoniale poteva essere destinato agli investimenti qualificati previsti dal comma 89, lettera b-ter), ossia quelli in quote o azioni di Fondi per il VC.

[3] Si fa riferimento a: a) azioni o quote di imprese residenti nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo con stabile organizzazione nel territorio medesimo; b) in quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio residenti nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo, che investono prevalentemente negli strumenti finanziari di cui alla lettera a); b-bis) quote di prestiti, di fondi di credito cartolarizzati erogati od originati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali, gestite da società iscritte nell’albo degli intermediari finanziari tenuto dalla Banca d’Italia di cui all’articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, da istituti di pagamento rientranti nel campo di applicazione dell’articolo 114 del medesimo testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 o da soggetti vigilati operanti nel territorio italiano in quanto autorizzati in altri Stati dell’Unione europea; b-ter) quote o azioni di Fondi per il Venture Capital residenti nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo.

[4] Si veda la Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 29 dicembre 2021, n. 19/E, paragrafo 6.1.

[5] Articolo 40 della Legge 16 dicembre 2024, n. 193.

[6] Sono Fondi per il Venture Capital di cui al comma 212 e di cui all’articolo 1, comma 89, lettera b-ter), della legge 11 dicembre 2016, n. 232, introdotta dalla lettera b) del comma 210 del presente articolo, gli organismi di investimento collettivo del risparmio che destinano almeno il 70 per cento dei capitali raccolti in investimenti in favore di piccole e medie imprese, come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, non quotate, residenti nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo con stabili organizzazioni nel territorio medesimo e che soddisfano almeno una delle seguenti condizioni: a) non hanno operato in alcun mercato; b) operano in un mercato qualsiasi da meno di sette anni dalla loro prima vendita commerciale; c) necessitano di un investimento iniziale per il finanziamento del rischio che, sulla base di un piano aziendale elaborato per il lancio di un nuovo prodotto o l’ingresso su un nuovo mercato geografico, è superiore al 50 per cento del loro fatturato medio annuo negli ultimi cinque anni.

[7] Si veda la Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 26 febbraio 2018, n. 3/E, paragrafo 3 e la Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 29 dicembre 2021, n. 19/E, paragrafo 3.

[8] Facendo riferimento all’esempio di cui sopra, il beneficio fiscale si perderebbe con riferimento ai proventi derivanti dagli investimenti qualificati effettuati nell’esercizio 2025.

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