La Newsletter professionale DB
Giornaliera e personalizzabile
www.dirittobancario.it
Approfondimenti

Verso nuove CFC rules: i gruppi multinazionali nell’attuazione della riforma fiscale

7 Novembre 2023

Giulio Mazzotti, Partner, Legance

Benedetta Antinucci, Senior associate, Legance

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il nuovo regime delle “Controlled Foreign Companies” (CFC) previsto dal decreto legislativo approvato lo scorso 16 ottobre dal Consiglio dei Ministri di attuazione della delega di riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale.


1. La disciplina delle Controlled Foreign Companies (CFC) 

La disciplina sulle “Controlled Foreign Companies” (“CFC”) contenuta nell’articolo 167 D.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”) ha la finalità di rendere imponibili in capo al socio italiano gli utili delle controllate estere: (i) localizzate in uno Stato a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella italiana; (ii) titolari di almeno un terzo di proventi di tipo passive; (iii) che non esercitano un’attività economica effettiva. L’imposizione derivante dal regime CFC viene subìta dal socio controllante italiano mediante l’imputazione “per trasparenza” del reddito della controllata estera, ossia indipendentemente dall’effettiva percezione di tali utili sotto forma di dividendi.

Il regime CFC, caratterizzato da un originario intento “anti-deferral, ha assunto nel tempo una natura sempre più antiabuso volta a contrastare fenomeni di erosione della base imponibile attuati dai gruppi multinazionali, in linea con il recente trend internazionale ed europeo. In tale contesto, la normativa CFC – dopo numerose modifiche susseguitesi negli anni – è stata da ultimo aggiornata dal D.Lgs. del 29 novembre 2018, n. 142, attuativo della Direttiva 2016/1164/UE del 12 luglio 2016 (c.d. Direttiva ATAD), recante principi di contrasto alle pratiche di elusione fiscale attivate a livello transnazionale [1].

Recentemente è sorta, tuttavia, la necessità di modificare ulteriormente il regime CFC in vista dell’implementazione in Italia, con effetto dal 2024, della Direttiva UE 2022/2523 del Consiglio del 14 dicembre 2022, che recepisce al livello europeo le regole sulla Global Minimum Tax elaborate dall’OCSE nell’ambito del c.d. Pillar 2 (“Regole GloBe”) [2].

Per i gruppi di imprese rientranti nel perimetro delle Regole GloBe [3], infatti, deve essere garantita una tassazione effettiva del quindici per cento (effective tax rate o “ETR”) in ciascuna delle giurisdizioni in cui sono presenti entità estere del gruppo, pena l’applicazione di un prelievo aggiuntivo a livello della capogruppo (o delle sue eventuali subholding) ovvero in capo alle singole entità estere soggette a bassa tassazione, secondo determinate regole poste in uno specifico ordine gerarchico [4]. La coesistenza, per i gruppi rientranti nell’ambito del Pillar 2, delle Regole GloBe e dei regimi CFC ha fatto sorgere un dibattito sul loro coordinamento, tenuto conto che entrambe le normative prevedono – seppur a condizioni diverse – l’imputazione e la tassazione in capo alla capogruppo del reddito delle entità residenti in Paesi a tassazione risultante “non congrua”.

Per evitare che l’applicazione sovrapposta delle due discipline antielusive comporti ingiuste penalizzazioni per i grandi gruppi, sono stati forniti dei primi chiarimenti a livello internazionale sul loro possibile coordinamento. In questo contesto, a livello italiano, si è manifestata la correlata esigenza di procedere a una revisione del regime CFC, prevedendone la semplificazione e la razionalizzazione, vista l’imminente introduzione in Italia delle Regole Globe (cfr. art. 3, co. 1, lett. f), della Legge n. 111 del 9 agosto 2023 c.d. Delega per la riforma fiscale).

In particolare, l’art. 4 del decreto legislativo in materia di fiscalità internazionale pubblicato in bozza il 16 ottobre dal Consiglio dei Ministri (“Bozza di Decreto”), prevede l’attuazione di tali principi della Delega fiscale mediante l’introduzione di significative modifiche dell’attuale disciplina CFC. [5]

In attesa del testo definitivo che riformerà la norma ex art. 167 TUIR, è utile analizzare le disposizioni contenute nella Bozza di Decreto per evidenziarne i profili di novità e le interrelazioni con le Regole GloBe, ma anche alcuni aspetti ancora dubbi, che si auspica possano essere risolti con l’attuazione del nuovo dispositivo o almeno con successivi chiarimenti da parte dell’Amministrazione finanziaria.

2. Il nuovo criterio di determinazione dei Paesi a fiscalità privilegiata ai fini CFC

Come detto, il regime CFC è applicabile alle controllate estere soggette, nella rispettiva giurisdizione, a una tassazione effettiva inferiore alla metà di quella applicabile in Italia ai sensi dell’art. 167, comma 4, lett. a) del TUIR.

L’art. 4, comma 1, lett. a) della Bozza di Decreto intende riformulare tale disposizione prevedendo che si considerino residenti in un Paese a fiscalità privilegiata le controllate estereassoggettate a tassazione effettiva inferiore al 15 per cento”, sulla base del rapporto tra: (i) la somma delle imposte correnti e di quelle anticipate e differite iscritte nel bilancio d’esercizio della controllata e (ii) l’utile ante imposte del medesimo bilancio. Tale criterio è però applicabile a condizione che il bilancio della controllata estera sia soggetto a revisione e certificazione da operatori professionali autorizzati nel Paese di residenza e che i relativi risultati siano utilizzati nel bilancio d’esercizio o nel consolidato del soggetto controllante. In mancanza di tale condizione, dovrebbe continuare ad applicarsi l’attuale criterio della tassazione effettiva previsto dal citato art. 167, comma 4, lett. a) del TUIR.

In sostanza, si prevede di forfettizzare il calcolo dell’effective tax rate della controllata estera, evitando il (sovente complesso) ricalcolo dell’imponibile secondo le regole fiscali italiane e il conseguente confronto con la tassazione virtuale potenzialmente dovuta in Italia. Sarà sufficiente, infatti, che la controllata sconti un’imposizione effettiva superiore al 15% – in linea con l’attuale livello di imposizione minimo previsto ai fini delle Regole GloBe – per essere considerata “white” e di conseguenza non ricadere nella disciplina CFC[6].

Tale impostazione determina, peraltro, una notevole semplificazione operativa per tutti i gruppi italiani che ricadranno nell’ambito di applicazione delle Regole GloBe, che saranno tenuti a effettuare complessi calcoli per individuare il livello di tassazione effettiva nei Paesi di localizzazione delle rispettive controllate estere. In assenza di una modifica alla normativa domestica, infatti, gli stessi gruppi dovrebbero determinare l’ETR delle controllate non residenti in base a due criteri distinti – quello italiano e quello GloBe – che differiscono sotto diversi aspetti, con conseguente duplicazione dei relativi oneri amministrativi e di compliance [7].

L’intenzione del legislatore di introdurre una normativa più semplicepotenzialmente più favorevoleper il contribuente deve senz’altro essere apprezzata, sebbene permangano alcuni aspetti aperti, auspicabilmente da risolvere nell’ambito della versione definitiva del Bozza di Decreto o quanto meno in via interpretativa con successivi chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate.

In specie, da un lato, l’inclusione delle imposte anticipate e differite della controllata nel numeratore del rapporto per calcolare la tassazione effettiva estera ha il pregio di superare le attuali complicazioni derivanti dalla valutazione della rilevanza (o meno) delle variazioni temporanee della base imponibile ai fini del calcolo dell’effective tax rate estero (nonché di quello virtuale italiano)[8].

Dall’altro lato però, potrebbero sorgere distorsioni qualora all’estero risultino variazioni fiscali di natura permanente, dato che la disposizione attualmente in bozza non sembra tenere conto di questa eventualità ai fini del calcolo della tassazione effettiva. Per esempio, qualora la controllata estera sia una holding il cui utile ante imposte sia per lo più derivante da dividendi o plusvalenze esenti (secondo il locale regime di participation exemption), l’aliquota effettiva potrebbe essere verosimilmente (anche di molto) inferiore alla soglia del quindici per cento per effetto di tale variazione in diminuzione permanente, con conseguente rientro (illogico) nel regime CFC “ordinario”, seppur in presenza di un trattamento fiscale analogo a quello applicabile in Italia [9]. Allo stesso modo, qualora l’entità estera possa dedurre in via definitiva costi che in base alla normativa italiana non sarebbero deducibili (come il caso degli accantonamenti diversi da quelli di cui all’art. 107 TUIR), l’effective tax rate potrebbe attestarsi al di sopra del quindici per cento, e quindi la controllata sarebbe fuori dal regime CFC, pur in presenza di un livello di tassazione inferiore a quello che vi sarebbe stato secondo le regole italiane [10].       

A questo riguardo, la disposizione potrebbe essere integrata di modo che nel calcolo della tassazione effettiva estera (i) non si tenga conto delle variazioni permanenti rilevanti sia per l’imponibile estero sia per quello italiano, e altresì (ii) si tenga conto delle variazioni permanenti rilevanti all’estero, ma non in Italia. Anche se le suddette potenziali “distorsioni” potrebbero essere evitate tornando ad applicare il computo analitico dell’ETR in base alle regole ordinarie già vigenti,  intervenire sulle sole variazioni permanenti avrebbe comunque il pregio di mantenere un’apprezzabile semplificazione rispetto al computo analitico complessivo.

Un altro aspetto meritevole di chiarimenti riguarda la necessità che il bilancio d’esercizio della controllata estera sia oggetto di revisione e certificazione da parte di un soggetto autorizzato nel relativo Paese di localizzazione, al fine dell’utilizzo del criterio semplificato previsto dalla Bozza di Decreto. Se ben si comprendono le ragioni “cautelative” sottese a tale condizione, nonché gli evidenti parallelismi con le Regole GloBe, d’altro canto la stessa potrebbe risultare problematica in presenza di una controllata estera con stabile organizzazione esente localizzata in un terzo Stato.

Più precisamente, secondo l’attuale disciplina CFC – come interpretata dall’Agenzia delle Entrate (cfr. citata Circolare n. 18/E del 27 dicembre 2021) – l’effective tax rate delle due entità estere (casa-madre e stabile organizzazione, se esente) andrebbe calcolato separatamente quand’anche il rendiconto economico-patrimoniale della stabile organizzazione non sia oggetto di alcuna revisione o certificazione nel relativo Paese di insediamento: in tal caso, alla stabile organizzazione dovrebbero applicarsi i vigenti (ordinari) criteri di determinazione dell’aliquota effettiva estera, invece di quelli più semplificati previsti dal legislatore delegato (eventualmente applicabili alla casa madre, se avente i bilanci revisionati). Per evitare una duplicazione degli oneri di compliance – che parrebbe contraria alla ratio della disposizione – sarebbe perciò ragionevole considerare sufficiente, e quindi ritenere integrata la condizione in esame, che il solo bilancio della casa madre estera (comprensivo delle risultanze economiche e patrimoniali della stabile organizzazione) sia oggetto di revisione e certificazione da un soggetto ivi autorizzato, al fine di utilizzare unitariamente il calcolo semplificato indicato dalla Bozza di Decreto per entrambe le entità estere [11].

3. Rilevanza della Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax dovuta dalla controllata estera

L’art. 4, comma 1, lett. b) della Bozza di Decreto prevede l’introduzione di un nuovo comma 4-bis all’art. 167 del TUIR, applicabile ai soggetti che rientrano nel perimetro di applicazione delle Regole GloBe e del regime CFC.

Secondo tale disposizione, ai fini del calcolo della tassazione effettiva estera della controllata non residente in base alla normativa CFC, si dovrà tenere conto anche della c.d. Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax (“QDMTT”) dovuta dalla stessa controllata nel rispettivo Stato di localizzazione, in attuazione dei principi del Pillar 2 [12].

In estrema sintesi, in base alle Regole GloBe i Paesi dove sono localizzate le entità a bassa tassazione (i.e. con ETR inferiore alla soglia minima del 15%) possono introdurre una QDMTT per incrementare la tassazione effettiva di tali entità fino a detta soglia, e recuperare prioritariamente l’imposta minima in relazione ai c.d. “profitti eccedenti” realizzati nel proprio territorio nazionale. In sostanza, con la QDMTT i Paesi della “fonte” conservano la propria potestà impositiva sul reddito domestico, evitando di fatto che questo sia attribuito alla giurisdizione dove è localizzata la controllante capogruppo mediante l’imposta minima integrativa (Income Inclusion Rule o IIR).

In altri termini, l’adozione della QDMTT modifica la rule of order delle Regole GloBe, attribuendo allo Stato in cui emergono extra-profitti tassati in misura non congrua il potere di riscuotere in via prioritaria un’imposta addizionale, lasciando in via subordinata al Paese di collocazione della capogruppo la possibilità di prelevare la top up tax sulla residua quota dei profitti. Tale ordine gerarchico, tuttavia, rischiava di essere compromesso dai regimi CFC domestici applicabili alle controllate soggette anche alle Regole GloBe.

In un primo momento, infatti, le Regole GloBe prevedevano che, ai fini del calcolo dell’ETR dell’entità estera, rilevassero anche le imposte pagate dal socio a titolo di CFC (c.d. push down delle imposte CFC), con conseguente attribuzione alla giurisdizione della controllante del potere di provvedere prioritariamente al prelievo sui profitti, e impossibilità del Paese di residenza dell’entità estera di intervenire con la propria QDMTT, in contrasto con la rule of order sopra delineata [13]. Successivamente, è stato chiarito che il push down delle imposte CFC non rileva ai fini del calcolo della QDMTT introdotta dallo Stato estero, rimanendo applicabile in tutti i casi in cui non sia stata adottata una QDMTT nella giurisdizione dell’entità estera ovvero laddove residuino profitti tassati al di sotto del quindici per cento. [14]

Ciò premesso, si ritiene che l’attuale bozza normativa sia in linea con la sopra menzionata rule of order di cui alle Regole GloBe. Da un lato, infatti, garantisce che i redditi della controllata estera siano prima tassati nel relativo Stato di residenza mediante un’eventuale QDMTT, e solo in via subordinata (ove residui un eccesso di profitti tassati al di sotto della soglia minima del 15%) al livello della controllante italiana mediante il regime CFC. Dall’altro lato, attribuendo rilevanza all’imposta pagata all’estero a titolo di QDMTT si evita che l’utile della controllata sia ingiustamente soggetto a una doppia imposizione economica per effetto dell’applicazione delle norme CFC.

Dimodoché – quanto meno per i gruppi italiani che ricadono nell’ambito delle Regole GloBe – le regole CFC potrebbero di fatto assumere un carattere residuale, applicandosi nei soli casi in cui la controllata estera non abbia già subito un prelievo pari al livello di tassazione minima del 15%, ad esempio perché il Paese di residenza non abbia introdotto una QDMTT oppure laddove in cui la medesima non garantisce un’imposizione effettiva almeno pari alla soglia GloBe [15].

In tali ipotesi – assumendo la sussistenza delle altre condizioni previste per ricadere nella normativa CFC – sarebbe comunque auspicabile che la norma in oggetto chiarisca che alla controllante residente, a cui viene imputato per trasparenza il reddito della controllata CFC, sia riconosciuto un credito d’imposta per la QDMTT pagata nella giurisdizione di appartenenza di quest’ultima. In questo modo, infatti, sarebbe pienamente rispettata la rule of order poiché si garantirebbe la previa applicazione della QDMTT rispetto al regime CFC e, in aggiunta, si eviterebbero rischi di doppia imposizione economica sugli utili della controllata estera [16].

4. L’opzione per l’imposizione sostitutiva del 15%

L’art. 4, comma 2, della Bozza di Decreto prevede di introdurre un meccanismo opzionale, allo scopo di evitare le complessità derivanti dal calcolo dell’ETR della controllata estera, mediante l’assolvimento di un’imposta sostitutiva del 15% (anche qui in coerenza con il livello minimo di imposizione previsto dalle Regole GloBe).

Più in dettaglio, il nuovo comma 4-ter all’art. 167 del TUIR – secondo la formulazione avanzata – riconosce alla controllante italiana la facoltà di applicare un prelievo del 15% su una base imponibile data dall’utile contabile al netto delle imposte della controllata estera, senza considerare eventuali svalutazioni di attivi e accantonamenti a fondi rischi (onde evitare meccanismi volti a ridurre appositamente la base imponibile) [17]. L’utilizzo dei valori contabili della controllata è subordinato, secondo il successivo comma 4-quater, al fatto che i relativi bilanci siano soggetti a revisione e certificazione, sempre al fine garantirne una certa affidabilità.

L’opzione per l’imposta sostitutiva si applica per tutte le controllate estere [18] che, secondo la disciplina dell’art. 167, si qualifichino come residenti in giurisdizioni c.d. “black”, è irrevocabile per tre anni e si rinnova automaticamente per ogni successivo triennio, salvo espressa revoca da parte della medesima controllante [19].

La norma sembra quindi voler introdurre un meccanismo semplificato per evitare i calcoli previsti dalle regole CFC – il che è senz’altro apprezzabile, specie da una cerchia di contribuenti con situazioni variegate e complesse rispetto alle proprie controllate estere – anche se da un’analisi al momento preliminare sovvengono alcune perplessità per certi effetti potenzialmente risultanti a seguito dell’opzione.

Anzitutto, se è vero che l’opzione comporterebbe certamente minori oneri amministrativi per la controllante italiana, è d’altronde vero che il calcolo “ordinario” dell’ETR è già stato reso molto più agevole dalla revisione dell’art. 167, comma 4, lett. a) per le controllate estere con bilanci revisionati e certificati, condizione che è comunque richiesta anche ai fini dell’esercizio della suddetta opzione. È quindi probabile che l’eventuale adozione del regime dipenderà soprattutto dal beneficio in termini di risparmio di imposta che la controllante potrebbe ritrarre applicando l’imposta sostitutiva del 15% in luogo delle regole ordinarie CFC [20].

Al riguardo, l’attuale formulazione del comma 4-ter conduce ad alcuni interrogativi sul piano sistematico: in primis, non è del tutto chiaro se l’utile soggetto alla tassazione del 15% sia poi totalmente escluso dalla determinazione della base imponibile IRES della controllante in sede di relativa percezione oppure se lo stesso concorra – in forma di dividendi ricevuti – nella misura del 5% al reddito della controllante ex art. 89, comma 2, del TUIR, qualificandosi come “proveniente” da un Paese a fiscalità ordinaria (“white”) per effetto dell’assolvimento dell’imposta. È oltremodo ragionevole propendere per la prima soluzione, nel presupposto che l’opzione in esame dovrebbe configurarsi come un regime effettivamente alternativo alle CFC rules e quindi l’utile estero così assoggettato a imposta sostitutiva dovrebbe scontare identico trattamento di quello imputato “per trasparenza” alla controllante italiana secondo le regole ordinarie.

In secundis, ci si deve chiedere se a fronte dell’imposizione sostitutiva possa poi essere riconosciuto – in qualche modo – il credito per le imposte pagate all’estero dalle controllate non residenti, cosa che però ci parrebbe già potersi escludere, in ragione della natura sostitutiva del prelievo rispetto a quello ordinario che quindi, a prescindere dall’eventuale qualificazione dell’utile estero, dovrebbe comportare per la controllante italiana l’assolvimento di un’imposta omnicomprensiva.[21]

Su queste premesse, la proposta normativa potrebbe in concreto rappresentare un’alternativa fiscalmente conveniente qualora la CFC estera sia residente in uno Stato che non abbia introdotto una QDMTT e con fiscalità effettiva vicina allo zero, poiché in tal caso la controllante italiana: (i) sconterebbe un’imposizione del 15%, in luogo dell’aliquota ordinaria IRES del 24% dovuta in sede di imputazione per trasparenza in base alle CFC rule; (ii) non subirebbe un particolare svantaggio dal mancato riconoscimento del credito d’imposta, data la quasi totale assenza di imposizione all’estero; (iii) non subirebbe un’ulteriore imposizione in sede di distribuzione dell’utile già oggetto di imposta sostitutiva, similarmente a quanto avviene in ambito CFC (assumendo – come già detto – che lo stesso non sarebbe poi assoggettato a ulteriore tassazione, i.e. neanche dell’1,2%, in capo alla controllante percipiente).

Al contrario, la disposizione potrebbe non risultare particolarmente conveniente nei casi in cui la controllata estera sia localizzata in un Paese che abbia optato per la QDMTT, visto che in tale ipotesi: (i) non potendo tener conto della QDMTT pagata all’estero, l’imposta sostitutiva rischierebbe di applicarsi nella misura del 15% anche in casi in cui la controllata avrebbe potuto considerarsi localizzata in un Paese a fiscalità ordinaria, e quindi non soggetta alle regole CFC secondo il nuovo articolo 167 TUIR [22]; oppure (ii) potrebbe finanche reputarsi più conveniente sottostare al regime CFC – al ricorrere di tutte le altre condizioni – per usufruire del credito sulle imposte assolte dalla controllata non residente [23].

Oltre a questo, qualche perplessità è data anche dal meccanismo “all in all out”, secondo cui l’opzione per l’imposizione sostitutiva dovrà per forza essere effettuata per tutte le controllate estere: forse sarebbe più efficace – nell’ottica della semplificazione a cui è improntata la delega – una maggiore flessibilità per la controllante italiana, cosicché possa scegliere per quali controllate estere convenga optare per l’imposta sostitutiva e per quali, invece, sia più favorevole adottare le regole “ordinarie” CFC. In effetti, da un lato non si intravedono particolari rischi di strumentalizzazione anche in caso di approccio “cherry picking”, atteso che la misura – pur in combinazione col regime ordinario – consentirebbe di mantenere per ciascuna controllata estera una fiscalità congrua sia nell’ottica del regime CFC sia in quello delle Regole GloBe; dall’altro lato, qualora fosse confermata tale “rigidità” l’opzione potrebbe essere scarsamente utilizzata, se non nei casi in cui tutte le controllate estere del gruppo siano localizzate in Paesi a fiscalità effettiva di molto inferiore al livello minimo del 15% (circostanza, peraltro, destinata a divenire sempre più rara per effetto dell’introduzione mondiale delle Regole GloBe).

Un ulteriore profilo peculiare – che meriterebbe certamente attenzione – riguarda, infine, la condizione che impone una durata triennale del regime sostitutivo, ove si consideri l’eventualità in cui venga dimostrata la sussistenza dell’esimente ex art. 167, comma 5, del TUIR per una o più controllate sottoposte all’opzione: infatti, qualora non si riconoscesse a tali controllate la disapplicazione del regime CFC e non se ne ammettesse l’uscita dal regime opzionale, si darebbe luogo a effetti in qualche modo distorsivi, dato che l’utile di queste ultime sarebbe tassato al 15% nell’anno di maturazione, anziché in quello di percezione come avverrebbe coi criteri ordinari, che peraltro garantirebbero un’imposizione inferiore [24]. Detta potenziale discriminazione potrebbe venire meno, invece, qualora si riconosca al contribuente la possibilità di revocare “parzialmente” il regime opzionale rispetto a quelle controllate per cui non risulta più conveniente, privilegiando un approccio “cherry picking” anche in sede di uscita dal regime [25].

5. Considerazioni conclusive

In conclusione, pur trattandosi di un’analisi limitata alla normativa a oggi in bozza, la scelta del legislatore di adeguare il regime CFC al nuovo contesto internazionale va salutata con favore, anche per l’intento di “alleggerire” gli oneri amministrativi e gli adempimenti di compliance a carico dei contribuenti (specie guardando ai grandi gruppi che dal 2024 ricadranno nel perimetro delle Regole GloBe).

D’altro canto, le modifiche proposte dall’art. 4 della Bozza di Decreto potrebbero essere ulteriormente affinate, così da eliminare taluni potenziali effetti indesiderabili sul piano sistematico e certe rigidità che mal si coniugano con la ratio di semplificazione che ha ispirato la Delega fiscale.

Inoltre, l’introduzione nel regime CFC di un nuovo criterio di determinazione dei Paesi a fiscalità privilegiata, renderebbe opportuno un coordinamento tra la normativa in esame e le disposizioni in materia di utili e plusvalenze relativi a controllate estere localizzate in tali Paesi (articoli 87 e 89 del TUIR), in un’ottica di razionalizzazione e coerenza complessiva della materia [26].

Infine, andrebbe attentamente valutata la più efficace modalità per l’introduzione del nuovo regime opzionale, che prevede l’assolvimento dell’imposta sostitutiva del 15% secondo il rivisto comma 4-bis dell’articolo 167 del TUIR, possibilmente rendendo tale tassazione sostitutiva maggiormente elastica – e quindi fruibile – in relazione al presupposto oggettivo (la condizione “all in all out”) e temporale (la durata minima triennale).

 

[1] Tali modifiche sono state oggetto di ulteriori disposizioni attuative da parte dell’Agenzia delle Entrate con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia n. 376652 pubblicato il 27 dicembre 2021 (“Provvedimento CFC”) oltre che di interpretazione della stessa Agenzia nella Circolare n. 18/E anch’essa del 27 dicembre 2021.

[2] In dettaglio, la citata Direttiva ha recepito in ambito Unionale il documento “Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy – Global Anti-Base Erosion Model Rules (Pillar two)”, approvato il 14 dicembre 2021 dall’Inclusive Framework dell’OCSE/G20. Si ricorda che la Direttiva ha una portata più ampia rispetto alle Regole GloBE, riguardando anche i gruppi nazionali operanti su larga scala, al fine di non discriminare le grandi imprese con attività transfrontaliera rispetto a quelle con attività meramente domestica.

[3] In via generale, si tratta dei gruppi domestici e multinazionali aventi ricavi – a livello di bilancio consolidato – pari o superiori a 750 milioni di Euro in almeno due dei quattro esercizi precedenti l’applicazione delle Regole Globe, che non rientrano nei casi di esclusione previsti da tale normativa (come de minimis e safe harbour).

[4] In estrema sintesi, qualora l’ETR dello Stato estero sia inferiore alla soglia del 15%, sul relativo differenziale dovrà essere prelevata un’imposta integrativa (c.d. “top-up tax” o “TUT”) in base al seguente ordine gerarchico: (i) dapprima opera la “Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax”, se introdotta nel Paese a basso livello di tassazione di collocazione delle entità estere; (ii) in via successiva, il prelievo della TUT è previsto nello Stato di insediamento della capogruppo mediante la c.d. “Income Inclusion Rule” (“IIR”); e (iii) in via subordinata, l’eventuale TUT residua per raggiungere il predetto livello del 15% viene riscossa mediante la “Undertaxed Profit Rule” (“UTPR”) nei Paesi di residenza delle entità estere.

[5] Per completezza, si rappresenta che il recepimento in Italia delle Regole GloBe di cui alla citata Direttiva trova a oggi collocazione negli articoli 8-60 della stessa Bozza di Decreto.

[6] Fermo restando – si precisa – che sarà comunque possibile, in caso di mancato superamento della soglia del 15% del “criterio semplificato” in esame, fare riferimento al computo analitico dell’ETR in base alla normativa attualmente vigente, al fine di verificare il raggiungimento di un livello di imposizione effettiva estera pari ad almeno la metà di quello italiano. D’altronde il riferimento al confronto con la soglia della metà della tassazione effettiva domestica è quanto indicato dai principi della Direttiva ATAD, che tuttavia non viene per questo contraddetta dalla semplificazione proposta, che si pone in aggiunta al criterio analitico.

[7] Sotto un altro profilo si rileva che la disposizione prende spunto dai c.d. “safe harbours” delle Regole GloBe, che nei primi anni di applicazione della normativa prevedono l’applicazione di un ETR “semplificato” basato sui dati risultanti dai “qualified financial statements” delle entità estere, per escludere l’applicazione delle Regole GloBe qualora si superino determinate soglie di imposizione minima (pari al 15% nel 2024). Per maggiori informazioni sul tema si rinvia al documento approvato dall’Inclusive Framework OCSE/G20 in data 15 dicembre 2022 denominato “Safe Harbours and Penalty Relief: Global Anti-Base Erosion Rules (Pillar two)”.

[8] In via generale, l’attuale comma 4 dell’art. 167 del TUIR prevede “l’irrilevanza delle variazioni non permanenti della base imponibile” ai fini della verifica della condizione del livello impositivo scontato dalla controllata estera. Analogamente, il Provvedimento CFC prevede al punto 5.1 lettera d), l’irrilevanza delle variazioni non permanenti “con riversamento certo e predeterminato in base alla legge o per piani di rientro (es. gli ammortamenti)”, nonché di quelle dal riversamento non certo e predeterminato che prevedono inter alia una tassazione anticipata all’estero di componenti positivi di reddito o una deduzione posticipata di componenti negativi rispetto a quella applicabile secondo la normativa italiana. Il coordinamento di tali diversi principi non è sempre agevole, dal momento che in presenza di variazioni temporanee della base imponibile estera occorre comprenderne il corrispondente trattamento fiscale italiano, per determinarne la rilevanza ai fini del calcolo dell’ETR.

[9] A questo proposito, si ricorda che il punto 5 lett. g) del Provvedimento CFC prevede che “l’imposizione italiana nei limiti del 5 per cento del dividendo o della plusvalenza, prevista negli articoli 87, comma 1, lettera c) e 89, comma 3, del TUIR, si considera equivalente a un regime di esenzione totale che preveda, nello Stato di localizzazione della controllata, l’integrale indeducibilità dei costi connessi alla partecipazione”. Pertanto, secondo l’attuale normativa CFC, la holding estera che usufruisce di un regime di “participation exemption” assimilabile a quello domestico non ricadrebbe nel regime CFC, a differenza di quanto apparentemente accadrebbe secondo la proposta di legge oggetto della presente analisi.

[10] In sostanza, secondo le norme in vigore la controllata estera potrebbe considerarsi CFC qualora il componente negativo indeducibile secondo la normativa italiana sia di importo particolarmente significativo, mentre, tale deduzione estera sarebbe puramente irrilevante ai fini della proposta normativa in esame.

[11] Peraltro, tale impostazione avrebbe il pregio di allineare il trattamento delle controllate estere con stabili organizzazioni esenti a quello delle controllate estere con stabili organizzazioni in relazione alle quali sia riconosciuto un credito d’imposta. Per queste ultime, infatti, qualora rimanesse ferma l’attuale impostazione, effettuandosi un unico calcolo della tassazione effettiva estera – che include anche le risultanze della stabile organizzazione con relativo credito d’imposta – sarebbe certamente sufficiente che il bilancio della casa-madre estera sia oggetto di revisione per poter beneficiare del calcolo semplificato dell’ETR di cui alla Bozza di Decreto.

[12] In maggiore dettaglio, la modifica normativa tiene conto della circostanza che la QDMTT viene determinata su base “jurisdictional” e non per singola entità del gruppo localizzata nel Paese estero; tanto che l’eventuale QDMTT rileva in misura corrispondente al prodotto tra tale imposta e il rapporto tra il “profitto eccedente” della controllata e la somma di tutti i “profitti eccedenti” degli enti localizzati nel medesimo Paese.

[13] Cfr. Articolo 4.3.2., let. c) delle Model Rules dell’OCSE del Dicembre 2021, secondo cui “in the case of a Constituent Entity whose Constituent Entity-owners are subject to a Controlled Foreign Company Tax Regime, the amount of any Covered Taxes included in the financial accounts of its direct or indirect Constituent Entity-owners under a Controlled Foreign Company Tax Regime on their share of the Controlled Foreign Company’s income are allocated to the Constituent Entity”. Come anticipato, tale principio è stato dibattuto in dottrina, ex multis cfr. B.J. Arnold, An investigation into the interaction of CFC Rules and the OECD Pillar Two Global Minimum Tax, in Bullettin for International Taxation, 2022, volume 76, n. 6; Assonime, circolare n. 30 del 12 dicembre 2022; A. Trabucchi – S. Grilli, Interazioni tra la normativa CFC e il Pillar 2, in Rivista della Guardia di Finanza n. 3 del 2023, par. 2.1, pag. 682.

[14] Tale principio è stato espresso nel capitolo 5 delle Administrative Guidance sul Pillar 2 pubblicate dall’Inclusive Framework OCSE il 1° Febbraio 2023 e denominate “Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy – Administrative Guidance on the Global Anti Base Erosion Model Rules (Pillar Two)”.

[15] A titolo puramente esemplificativo, ciò potrebbe accadere per via di differenze derivanti dai principi contabili applicati dalla controllata estera oppure dalle modalità di implementazione nel Paese estero della QDMTT, che potrebbero in parte differire dalle Regole GloBe; tanto che, potrebbe accadere che nonostante l’applicazione della QDMTT la ultimate parent entity sia comunque tenuta ad applicare l’IIR sui profitti eccedenti residui ovvero, come qui ipotizzato, il regime CFC.

[16] A tal fine, per la determinazione dell’imposta accreditabile al livello della controllante potrà farsi riferimento al medesimo criterio “proporzionale” previsto dalla disposizione in oggetto (cfr. precedente nota 12) per allocare la QDMTT applicata su base “jurisdictional” alla controllata estera che ricade nel regime CFC.

[17] In tal senso, cfr. E. Della Valle, CFC la certificazione del bilancio semplifica il calcolo del tax rate, pag. 6 del focus su Il Sole 24 Ore del 26 Ottobre 2023 “Il nuovo fisco per le imprese”.

[18] Si tratta quindi di un meccanismo “all in all out”, come espressamente stabilito dall’ultimo paragrafo del citato comma 4-ter, secondo cui l’opzione in esame “è effettuata per tutti i soggetti controllati non residenti come definiti ai commi 2 e 3 e che integrano le condizioni di cui al comma 4, lettera b)”, ossia che realizzano almeno un terzo di proventi “passive”.

[19] Con modalità rimesse all’emanazione di un apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

[20] Sotto questo profilo è interessante un confronto sistematico tra l’opzione in esame – che prevedrà quindi una sostituzione d’imposta “a regime” per ciascun anno su base triennale – e il meccanismo che (seppure una tantum) ha previsto l’affrancamento degli utili esteri per il 2023 ex art. 1, commi 87-95, della legge del 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023), consentendo in via opzionale l’assolvimento di un’imposta sostitutiva ridotta (del 9% ovvero del 6% a determinate condizioni) anche per favorire il rimpatrio in Italia degli utili prodotti nel corso dei vari esercizi dalle entità estere, specie se collocate in Stati a fiscalità privilegiata. Tale opzione per il 2023 risultava, infatti, conveniente per gli utili qualificati come “black”, che altrimenti avrebbero scontato – quando percepiti dal socio italiano – l’imposizione “piena” del 24% (ovvero del 12% in caso di applicazione del regime di c.d. Semi-Pex, ulteriormente riducibile dall’eventuale credito d’imposta indiretto sulle imposte estere).

[21] A latere, ci si chiede se l’opzione per l’imposta sostitutiva in esame potrà avere effetti anche ai fini delle Regole GloBe: al riguardo, pur in mancanza di chiarimenti nella Bozza di Decreto, si è orientati a dare una risposta affermativa, in considerazione del fatto che si tratterebbe di una tassazione nella sostanza assimilabile alle “CFC taxes” che, ai fini GloBe, rilevano al livello della controllata estera (tramite i meccanismi di “CFC push down”) oppure al livello della stessa controllante qualora lo Stato della controllata estera abbia introdotto una QDMTT.

[22] Si ricorda, infatti, che il nuovo comma 4-bis dell’art. 167 contenuto nella Bozza di Decreto prevede che la controllante italiana di un gruppo soggetto alle Regole GloBe possa includere la QDMTT applicata nella giurisdizione della controllata estera nel calcolo dell’ETR ai fini CFC: al riguardo, sembra ragionevole che, in via generale, l’assolvimento della QDMTT impedisca tout court l’applicazione del regime CFC, oppure lo mantenga in via residuale qualora vi siano profitti eccedenti che non hanno scontato un’imposizione almeno pari alla soglia minima del quindici per cento.

[23] Ciò nell’assunto che il credito d’imposta indiretto possa ridurre la tassazione effettiva italiana al di sotto del 15%, sebbene d’altro verso lo stesso effetto parrebbe apparire in parziale contrasto con i principi GloBe.

[24] Infatti, al ricorrere della circostanza esimente, qualora la controllata si qualifichi come residente in un Paese a fiscalità privilegiata l’utile sarebbe tassato in capo alla controllante nella misura del 12% in applicazione della Semi-Pex, con possibilità di detrarre le imposte assolte all’estero per effetto del credito d’imposta indiretto.

[25] In via esemplificativa, la controllante potrebbe decidere di non voler più adottare il regime opzionale, oltre al caso di dimostrazione dell’esimente da parte della controllata estera, anche nei casi di intervenuta introduzione della QDMTT nella relativa giurisdizione di localizzazione.

[26] Per esempio, sarebbe auspicabile un riferimento che renda chiaro che gli utili qualificabili come “white” secondo i criteri vigenti in sede di maturazione (e.g. criterio dell’ETR post introduzione della Direttiva ATAD) mantengano tale natura anche qualora la controllata estera si qualificasse come “black” in base ai nuovi criteri della Bozza di Decreto (ipotesi possibile, in teoria, ove non si tenga conto delle variazioni permanenti ai fini del calcolo dell’ETR come rivisto dall’art. 4, comma 1, lett. a). Quanto al regime delle plusvalenze, si rileva come anch’esso sia attualmente in fase di revisione nell’ambito dei lavori della riforma fiscale e certamente è opportuna l’occasione per rivedere il principio interpretativo – invero assai penalizzante per i contribuenti – attualmente adottato dall’Agenzia delle Entrate (cfr. Risposta n. 481 del 27 settembre 2022) secondo cui, per qualificare le partecipazioni estere come “black” o “white”, ai fini della participation exemption di cui all’art. 87, comma 2, del TUIR, occorre verificarne retroattivamente lo status, in base ai criteri vigenti nell’anno del realizzo, fin dall’inizio del periodo di possesso (o negli ultimi cinque anni in caso di operazioni con controparti terze).

Leggi gli ultimi contenuti dello stesso autore
Approfondimenti
Fiscalità

Verso nuove CFC rules: i gruppi multinazionali nell’attuazione della riforma fiscale

7 Novembre 2023

Giulio Mazzotti, Partner, Legance

Benedetta Antinucci, Senior associate, Legance

Il contributo analizza il nuovo regime delle “Controlled Foreign Companies” (CFC) previsto dal decreto legislativo approvato lo scorso 16 ottobre dal Consiglio dei Ministri di attuazione della delega di riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale.
Di cosa si parla in questo articolo
Vuoi leggere la versione PDF?
Vuoi leggere altri contenuti degli autori?
Una raccolta sempre aggiornata di Atti, Approfondimenti, Normativa, Giurisprudenza.
Iscriviti alla nostra Newsletter
Iscriviti alla nostra Newsletter