1. Il 1° luglio scorso è entrata in vigore la Convenzione multilaterale per l’attuazione delle misure BEPS, sottoscritta il 7 giugno 2017 da 68 Stati, inclusa l’Italia (oggi i firmatari sono 82)[1]. La Convenzione non è però in vigore per l’Italia, che, come molti Stati, non ha ancora depositato la ratifica.
La Convenzione non è il primo trattato multilaterale in materia fiscale. Ve ne sono altri, tuttora in vigore, come la convenzione contro le doppie imposizioni nordica, firmata nel 1983 da Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia, e quella firmata dagli Stati della comunità andina nel 1971. E’ però il primo trattato multilaterale che modifica così tanti trattati contro le doppie imposizioni[2].
Secondo i dati OCSE, se la Convenzione multilaterale entrasse in vigore oggi per tutti i firmatari, cambierebbero più di 1100 trattati. A questi se ne aggiungeranno verosimilmente altri, poiché la Convenzione è dal 1° gennaio 2017 aperta alla firma di tutti gli Stati e le giurisdizioni che vorranno aderirvi.
2. La Convenzione multilaterale è un trattato di diritto internazionale pubblico, che ha lo scopo di modificare i trattati conclusi tra ciascuno degli Stati che vi (alla Convenzione) aderiscono, per inserirvi le misure anti-BEPS[3]. E’ un “fascio di trattati”, che consente agli Stati di modificare (tutti o alcuni de)i propri trattati, senza rinegoziarli uno ad uno.
La Convenzione multilaterale non abroga né sostituisce i trattati “coperti” (quelli che gli Stati scelgono di far entrare nel suo campo di applicazione); non modifica direttamente le disposizioni ma le norme dei trattati “coperti”. Va quindi applicata insieme al trattato che modifica e le norme di quest’ultimo restano efficaci nella misura in cui non siano modificate, sostituite o integrate dalla Convenzione[4].
Per capire come le norme del trattato “coperto” siano modificate dalle norme della Convenzione, occorre considerare le clausole di compatibilità nella Convenzione multilaterale. Esse regolano gli effetti che le norme della Convenzione (modificanti) producono sulle norme dei trattati (modificate); rapporti che, in assenza di tali clausole, sarebbero regolati dall’art. 30, Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, per gli Stati che l’hanno firmata, o dalle norme consuetudinarie sulla successione nel tempo dei trattati, per gli altri (in primis, dal principio secondo cui il trattato successivo deroga a quello precedente).
Così, alcune norme della Convenzione modificano le norme del trattato “coperto” (art. 5, parr. 3 e 5); altre le integrano (art. 16, par. 4, lett. b) e c); altre le eliminano e le sostituiscono (art. 5, par. 7); altre ancora le sostituiscono, se presenti, o le integrano, se manchevoli (art. 6, par. 2).
Per capire invece quali norme del trattato “coperto” siano modificate o sostituite, occorre guardare alle notifiche che gli Stati devono fare presso il depositario OCSE in relazione alle norme applicate (art. 29).
3. La Convenzione multilaterale non mira solo ad attuare le misure anti-BEPS, ma a farlo in modo uniforme. Ha cioè lo scopo di aggiornare e uniformare i trattati contro le doppie imposizioni, alcuni dei quali sono stati conclusi tempo fa e non seguono il modello di convenzione OCSE (che è quello più seguito anche dall’Italia). L’uniformità delle norme pattizie limita, infatti, quei fenomeni di doppia non imposizione che il progetto BEPS intende contrastare.
Per facilitare l’adesione del maggior numero possibile di Stati, e per lasciare ciascuno di essi libero di scegliere se e come modificare i propri trattati, la Convenzione prevede opzioni, riserve e norme alternative. L’obiettivo è raggiungere un risultato simile a una rinegoziazione bilaterale di ciascun trattato, in una visione singolarmente – in questo caso – molto unilaterale delle relazioni internazionali.
Esercitando le opzioni, uno Stato può scegliere di applicare o non applicare alcune norme (o parti di esse) che, senza l’opzione, non si applicherebbero o si applicherebbero: le prime sono le opt-in clauses (art. 6, par. 3); le seconde sono le opt-out clauses.
Le opt-out clauses producono effetti simili alle riserve, che sono dichiarazioni unilaterali con le quali uno Stato esclude o modifica gli effetti di una determinata norma del trattato. Salvo eccezioni, le riserve sono efficaci nei confronti di tutti i trattati coperti e, poiché esonerano lo Stato che le formula dall’osservare in parte qua la Convenzione, sono permesse solo in casi tassativi (art. 28, par. 1). Non sono possibili per le norme che prevedono misure di minimum standard (artt. 6, 7, 14 e 17), a meno che lo Stato non disponga già di – o non si impegni a prevedere – misure equivalenti (p. es., art. 7, par. 15, lett. a).
Le riserve sono in generale efficaci senza bisogno di accettazione. Le riserve alle norme della procedura arbitrale devono invece esser accettate dall’altro Stato (art. 28, par. 2). E’ interessante notare che le obiezioni a tali riserve escludono l’applicazione di tutta la procedura arbitrale, non delle sole norme sulle quali non vi è accordo tra lo Stato che fa la riserva e quello che vi obietta (come prevede l’art. 21, par. 3, Conv. Vienna[5]).
La Convenzione offre poi agli Stati la scelta tra norme alternative che realizzano lo stesso risultato. Se non è scelta la norma alternativa, si applica la norma generale, sempre che non sia espressa riserva di escluderne l’applicazione: p. es., in mancanza di opzione per la norma alternativa del par. 4, l’art. 9, par. 1, sostituisce o integra analoghe norme già presenti nel trattato coperto.
Non è sempre prevista una norma generale, che si applica in mancanza di opzione per una norma alternativa. L’art. 13, p. es., comprende varie norme antielusive in materia di stabile organizzazione, tra loro alternative: se nessuna di esse è scelta, non si applica nessun’altra norma.
Interpretare le clausole di compatibilità e coordinare le norme della Convenzione con quelle del trattato “coperto”, tenendo conto di riserve e opzioni, non è cosa facile. Per agevolare gli operatori, l’OCSE ha diffuso una nota sul funzionamento della Convenzione. Ha inoltre predisposto una banca dati elettronica, che individua le norme della Convenzione applicabili per ciascun trattato “coperto”[6].
Gli operatori non possono però fare affidamento solo sull’MLI Matching Database, che non ha valore legale. Inoltre, i suoi calcoli si basano sui dati disponibili alla firma della Convenzione, che potrebbero non essere aggiornati. Più “sicura”, da questo punto di vista, è la consultazione delle versioni consolidate – che incorporano, cioè, le modifiche della Convenzione – dei testi dei trattati, se disponibili. Va però tenuto presente che questi testi non hanno valore legale a livello internazionale né sono mezzi d’interpretazione, ai sensi degli artt. 31 e 32, Conv. Vienna; e che solo i testi inglese e francese della Convenzione multilaterale sono autentici e solo in base ad essi va interpretata la Convenzione[7].
4. La Convenzione multilaterale consta di sette parti e 39 articoli. La prima parte contiene le disposizioni generali: scopo (art. 1) e interpretazione della Convenzione (art. 2).
L’art. 2, par. 2, regola l’interpretazione dei termini non definiti e replica l’art. 3, par. 2, modello di convenzione OCSE. Pone il problema, di grande rilevanza pratica, di quando sia necessario applicare il trattato “coperto” – e, nel caso, la legge interna – per interpretare i termini non definiti nella Convenzione multilaterale. Poiché quest’ultima, come ogni trattato, va interpretata secondo le regole della Convenzione di Vienna, il (doppio) rinvio andrebbe limitato ai soli casi in cui il contesto nel quale la Convenzione va applicata non ne consenta un’autonoma interpretazione[8].
Le parti dalla seconda alla quarta contengono le norme sostanziali anti-BEPS. La parte seconda contiene le norme “anti-ibridi”: soggetti fiscalmente trasparenti, con doppia residenza e metodi per eliminare la doppia imposizione. La parte terza prevede norme in tema di: modifica al preambolo (art. 6), abuso dei trattati e clausola di limitation on benefits (art. 7); dividendi intersocietari (art. 8); plusvalenze su partecipazioni il cui valore derivi principalmente da immobili siti nell’altro Stato contraente (art. 9). La parte quarta comprende le norme in tema di stabile organizzazione (artt. 12-15), alcune delle quali sono già state introdotte nell’art. 162, Tuir (la norma “anti-frammentazione” e quella sulle attività ausiliarie)[9].
La parte quinta prevede altre due misure di minimum standard, che tutti gli Stati sono tenuti ad attuare: le modifiche alla procedura amichevole (art. 16) e gli aggiustamenti per rettifiche di transfer pricing (art. 17).
La parte sesta, opzionale, disciplina la procedura arbitrale. La parte settima regola notifiche, riserve, entrata in vigore, recesso e modifiche alla Convenzione.
Alla firma, l’Italia si è riservata di non applicare la maggior parte delle norme non di minimum standard. Le riserve possono però essere ritirate o sostituite con riserve meno ampie – riserve che comportano, cioè, l’applicazione delle (parti di) norme prima escluse – anche dopo la ratifica (art. 28, par. 9); depositata la ratifica, non possono invece farsi nuove riserve né ampliarsi riserve già fatte (art. 28, par. 5).
L’Italia ha anche esercitato poche opzioni. L’esercizio di nuove opzioni e la scelta di norme alternative aggiuntive sono però possibili anche dopo l’entrata in vigore della Convenzione (art. 29, par. 6); è invece dubbio che sia possibile, dopo tale momento, sostituire o modificare opzioni già espresse, perché non si tratta propriamente di nuove opzioni.
5. Dal 1° luglio, la Convenzione è in vigore per Austria, Isola di Man, Jersey, Polonia e Slovenia, i primi a depositare gli strumenti di ratifica (art. 34, par. 1). Dal 1° ottobre, entrerà in vigore anche per Nuova Zelanda, Svezia, Serbia e Regno Unito. Non è invece in vigore per gli Stati firmatari che, come l’Italia, non abbiano depositato ratifica, accettazione o approvazione (a seconda delle procedure interne).
Infatti, per gli Stati che la ratificano dopo il deposito del quinto strumento di ratifica, la Convenzione entra in vigore il primo giorno del mese successivo i tre mesi dal deposito della rispettiva ratifica (art. 34, par. 2). E’ solo da questo momento che la Convenzione modifica i trattati “coperti”.
Dal 1° luglio, la Convenzione entrerà in vigore per tutti gli Stati che via via depositeranno i propri strumenti di ratifica (se il deposito cade il 15 settembre, la Convenzione entra in vigore il 1° gennaio).
Va segnalato che la ratifica della Convenzione multilaterale è fatta una volta per tutti i trattati “coperti”, perché tiene luogo della ratifica delle leggi di modifica dei singoli trattati[10].
Sino al deposito della ratifica, il deposito dell’altro Stato, parte del trattato “coperto”, non potrà modificare il suddetto trattato (perché i trattati non si possono modificare in via unilaterale). Così, se la Francia depositasse il proprio strumento di ratifica, il trattato Italia-Francia non sarebbe modificato prima che anche l’Italia abbia fatto il proprio deposito.
Infine, l’entrata in vigore della Convenzione non importa l’immediata applicabilità delle norme in essa contenute. Secondo l’art. 35, le norme della Convenzione si applicano: a) alle imposte alla fonte prelevate dal primo giorno dell’anno solare successivo l’entrata in vigore della Convenzione (rispetto al trattato interessato); b) alle imposte – diverse da quelle alla fonte – prelevate in relazione al periodo d’imposta successivo ai sei mesi seguenti l’entrata in vigore della Convenzione per l’ultimo degli Stati contraenti.
[1] http://www.oecd.org/tax/treaties/multilateral-convention-to-implement-tax-treaty-related-measures-to-prevent-beps.htm.V. The OECD Multilateral Instrument for Tax Treaties. Analysis and Effects, eds. M. Lang et al., Kluwer Law International, 2018.
[2] I trattati multilaterali sono già stati usati per modificare trattati bilaterali. Mai, però, in campo fiscale. Un esempio è la Convenzione europea di estradizione di Parigi, del 13 dicembre 1957, che ha abrogato i precedenti accordi bilaterali in materia. V. N. Bravo, The Multilateral Tax Instrument and Its Relationship with Tax Treaties, 8 W. Tax J. 3 279 (2016).
[3] http://www.oecd.org/tax/beps/.
[4] Modificare con la Convenzione direttamente il testo dei trattati “coperti” avrebbe determinato incalcolabili problemi di coordinamento tra trattati e Convenzione. V. S. Govind & P. Pistone, The Relationship Between Tax Treaties and the Multilateral Instrument: Compatibility Clauses in the Multilateral Instrument, in The OECD Multilateral Instrument for Tax Treaties, cit., 124.
[5] V. A. Pellet, D. Muller, Reservations to Treaties: An Objection to a Reservation is Definitely not an Acceptance, in The Law of Treaties Beyond the Vienna Convention, ed. E. Cannizzaro, Oxford University Press, 2011, 51, anche per riferimenti.
[6] http://www.oecd.org/tax/treaties/application-toolkit-multilateral-instrument-for-beps-tax-treaty-measures.htm.
[7] Non si può fare riferimento nemmeno alle traduzioni ufficiali della Convenzione, rese disponibili anche in italiano dall’OCSE, che non sono autenticate. Su questo importante aspetto, J. Schuch & J.P. Van West, Authentic Languages and Official Translationsof the Multilateral Instrument and Covered Tax Agreements, inThe OECD Multilateral Instrument for Tax Treaties, cit., 81.
[8] V. M. Lang (ed.), Introduction to the Law of Double Taxation Conventions, IBFD, 2010.
[9] http://www.dirittobancario.it/news/fiscalita-internazionale/legge-di-bilancio-2018-stabile-organizzazione-l-italia-si-adegua-al-beps.
[10] V. anche OECD Directorate of Legal Affairs, Multilateral Convention to Implement Tax Treaties Related Measure to Prevent Base Erosion and Profit Shifting: Functioning under Public International Law, parr. 11 s.