“L’atto di destinazione di un bene ex art. 2645 ter cod. civ. è un atto negoziale unilaterale a titolo gratuito, che, ancorchè lecito e produttivo di effetti tra le parti, deve superare il vaglio di meritevolezza di cui alla citata norma, più rigoroso di quello di cui all’art. 1322 cod. civ., in difetto del quale resta valido tra le parti, ma non è opponibile al creditore che abbia agito in giudizio”.
La Banca promuoveva un giudizio per la dichiarazione di nullità per difetto di causa di un negozio unilaterale ex art. 2645 ter cod. civ., con il quale un proprio cliente aveva destinato l’intero suo patrimonio immobiliare al soddisfacimento delle esigenze dei figli minori per tutta la durata della loro esistenza, ma con potere riservato al disponente di sciogliere il vincolo in qualunque tempo; in via subordinata, instava per la inefficacia ex art. 2901 cod. civ..
La Banca agiva sulla scorta di quella giurisprudenza di merito (le pronunce in materia sono piuttosto rare) secondo la quale il negozio in questione, per essere valido, presupppone, anche alla luce del significato letterale delle parole “conferente” e “beni conferiti”, “un’alterità soggettiva (e, quindi, un trasferimento) dal conferente ad un altro individuo, fattispecie incompatibile con un atto unilaterale (al di fuori dell’ipotesi, diversa, del trust); infatti, il verbo confero deriva da cum-ferre e le espressioni sopra riportate richiedono, dunque, un atto traslativo (ferre) compiuto tra soggetti distinti” (Trib. Reggio Emilia, Sez. Fallimentare, Decreto 18.12.2013; in senso conforme, Trib. Santa Maria Capua Vetere, Ufficio Esecuzioni Immobiliari, Ordinanza, 28.11.2013). Al contrario, il Tribunale di Brescia, richiamando la più recente giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile, Sez. III, 13 febbraio 2020, n. 3697) statuiva che “Il vincolo di destinazione previsto dall’art. 2645 ter c.c. può certamente realizzarsi mediante diversi atti negoziali, eventualmente anche bilaterali, e quindi contrattuali, ma il vincolo resta strutturalmente un atto negoziale unilaterale a titolo gratuito, se operato nella semplice forma della mera “destinazione” del bene (che resta di proprietà del disponente) alla realizzazione di determinate esigenze”. A questo punto, sancita la validità del vincolo (e, quindi, rigettata l’eccezione di nullità strutturale), il Tribunale spostava l’attenzione sulla sua opponibilità ai terzi, la quale presuppone che l’atto superi il vaglio di meritevolezza di cui all’art. 2645 ter cit., che, a differenza di quello di cui all’art. 1322 cod. civ., non si esaurisce in un controllo di conformità del negozio a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, bensì consiste in “un controllo in ordine (i) al rapporto di congruità e di adeguatezza tra bene destinato e scopo e altruità dell’interesse perseguito; (ii) in ordine alla durata della destinazione rispetto alla scopo; (iii) con riferimento al valore del bene destinato rispetto allo scopo perseguito, anche nel corso della destinazione; (iv) ed, infine, con riferimento alla “proporzione” tra bene destinato e patrimonio residuo rispetto ai creditori del destinante”.
Nel caso di specie, l’atto non superava il predetto controllo, specie per la genericità delle finalità perseguite, il potere di revoca unilaterale in capo al disponente e l’assenza di patrimonio residuo. E purtuttavia, il negozio restava valido tra le parti ma inopponibile al creditore Banca, per cui la domanda era accolta non per nullità, bensì per inopponibilità. La Sentenza supera la posizione del carattere necessariamente traslativo dell’atto di destinazione, ed apre la strada ad una più generale applicazione dell’istituto, ferma la necessità che la meritevolezza degli interessi perseguiti sia effettiva e riscontrabile in termini obiettivi, e non si risolva, quindi, in una mera clausola di stile, o, peggio, in un intento fraudolento.