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Giurisprudenza

Voluntary disclosure: la Cassazione sul rimborso dell’Euroritenuta

8 Febbraio 2023

Cassazione Civile, Sez. V, 06 febbraio 2023, n. 3590 – Pres. Cirillo, Rel. Angarano

Di cosa si parla in questo articolo

La questione controversa è se esista o meno il diritto dei contribuenti al rimborso dell’Euroritenuta applicata sui redditi di capitale di fonte estera, emersi nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria (voluntary disclosure) e se l’omessa restituzione si risolva in una doppia imposizione.

La disciplina della voluntary disclosure

Al fine di disciplinare l’emersione ed il rientro dei capitali illecitamente detenuti all’estero da soggetti fiscalmente residenti in Italia, l’art. 1 legge 15 dicembre 2014, n. 186, ha introdotto nell’ordinamento interno la procedura di collaborazione volontaria (voluntary disclosure), mediante l’inserimento, degli artt. da 5-quater a 5-septies nel d.l. 28 giugno 1990, n. 167.

Più specificamente è stata riconosciuta ai soggetti residenti in Italia che detenevano, anche indirettamente o per interposta persona, attività e beni all’estero e che avevano omesso di rilevarli ai fini del monitoraggio fiscale, la possibilità di definire la propria posizione e di regolarizzare le violazioni commesse fino al 30 settembre 2014, presentando apposita richiesta nominativa di accesso alla procedura di collaborazione volontaria – entro il 30 settembre2015 (termine prorogato al 30/11/2015 dall’art. 2 d.l. 30 settembre 2015, n. 153) – e versando, senza possibilità di compensazione, le dovute imposte e le sanzioni, rideterminate (queste ultime) in misura ridotta.

Il pagamento del dovuto, nei termini previsti dalla procedura, comportava il risultato premiale consistente nelle significative attenuazioni delle sanzioni di natura amministrativa e, in presenza di determinate condizioni, dell’applicazione delle esimenti penali per alcuni reati tributari (articoli 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), nonché per i reati di riciclaggio (art. 648-bis, cod. pen.), di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter, cod. pen.), e di autoriciclaggio (art. 648-ter 1, cod. pen.).

L’Euroritenuta e la potenziale doppia imposizione

In conseguenza dell’introduzione delle disposizioni di cui alla legge n. 186 del 2014, i contribuenti che avevano subito il prelievo a titolo di Euroritenuta potevano sanare, per le annualità dal 2010 al 2013, la mancata dichiarazione dei redditi prodotti all’estero, compresi i redditi assoggettati alla ritenuta operata dall’agente pagatore (nella specie, una banca svizzera).

La circostanza che la disciplina delle nuove voluntary disclosure faccia salvo lo scomputo di talune ritenute estere costituisce indice della situazione di potenziale doppia imposizione pregiudizievole che viene a crearsi; né può dimenticarsi che lo Stato estero, quale mero adiectus solutionis causa, trattiene una modesta quota delle ritenute quale aggio per la riscossione e ne riversa la maggior parte allo Stato italiano, beneficiario effettivo.

Pertanto, le fonti comunitarie, convenzionali e attuative interne, impongono un’applicazione delle norme interne (art.165 t.u.i.r., e disciplina della collaborazione volontaria) comunitariamente e convenzionalmente orientata.

In applicazione del principio comunitario del divieto di doppia imposizione, viene consentito il riconoscimento del diritto al rimborso dell’Euroritenuta pagata all’estero anche nel caso in cui, a seguito di autodenunzia spontanea del contribuente, lo stesso reddito, inizialmente non dichiarato, venga sottoposto ad imposizione in Italia.

Ciò è ancor più ragionevole, evidenzia la Cassazione se si pensi che al contribuente, una volta presentata l’istanza introduttiva della procedura di collaborazione volontaria, non rimane che aderire incondizionatamente agli atti dell’Agenzia delle entrate come unica modalità per ottenere i benefici premiali in termini di riduzione delle sanzioni, previste dalla normativa in parola, in quanto l’attivazione del contraddittorio con l’amministrazione comporta l’impossibilità di usufruire della procedura agevolativa.

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