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Tesi di laurea

Le soluzioni negoziali alla crisi di impresa: gli accordi di ristrutturazione dei debiti con intermediari finanziari

11 Dicembre 2019

Niccolò Tamburini

Il debito bancario e finanziario costituisce un elemento tipico delle crisi d’impresa.

Nel dibattito europeo il problema dell’elevato indebitamento finanziario delle imprese, è stato recentemente affrontato in relazione alla posizione delle banche, in considerazione dell’impatto che la mancata riscossione può determinare per il singolo istituto e per l’intero mercato del credito. La riduzione dei rischi bancari e l’elaborazione di adeguati sistemi per il monitoraggio dell’ammontare dei crediti deteriorati (NPL, Non Performing Loans), sono i punti essenziali delle Linee Guida, elaborate dalla Banca Centrale Europea nel marzo 2017.

Al fine di agevolare il raggiungimento di un’intesa con il ceto bancario, il d. l. del 27 giugno 2015 n. 83 ha introdotto nell’ordinamento l’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari (art. 182-septies l.f.), che va ad integrare la disciplina di cui all’art. 182-bis l.f.

La peculiarità insita nell’accordo de quo (art. 182-septies l.f.) si rinviene nella sua idoneità ad estendere gli effetti verso i creditori bancari non aderenti, derogando esplicitamente al principio di relatività del contratto, che invece domina la figura dell’accordo ordinario ex art. 182-bis l.f.

Il presente elaborato persegue lo scopo di analizzare la disciplina dell’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, in una serrata dialettica con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCI), elaborato dalla “Commissione Rordorf” nel corso del progetto di riforma del diritto fallimentare.

Lo studio è strutturato seguendo un metodo deduttivo.

Il primo capitolo del presente elaborato si propone, da un lato, di ricostruire – seppur brevemente – il percorso storico-normativo della “contrattualizzazione” della crisi che ha portato il legislatore ad elaborare l’istituto in esame. Dall’altro di evidenziare le controverse interpretazioni che si formano intorno agli accordi di ristrutturazione in questione, su cui – tutt’ora – non vi è una posizione pacifica in letteratura. Tra queste sono da annoverare le incertezze sorte circa la qualificazione degli accordi come strumenti privatistici per la soluzione della crisi, oppure come procedure concorsuali al pari del concordato preventivo. Lo studio tiene conto anche delle posizioni assunte dalla dottrina in seguito all’ingresso nel panorama giuridico dell’art. 182-septies l.f., stante la sua idoneità ad estendere gli effetti ai creditori non aderenti. L’imperante ruolo dell’autonomia privata nel corso delle trattative, porta, in questa prima fase, ad interrogarsi sul destino della par condicio creditorum –che domina l’esecuzione delle procedure concorsuali – dell’efficacia del cd. “contratto di ristrutturazione” e dell’obbligatorietà della clausola di buona fede, espressamente richiamata dall’art. 182-septies l.f., ma destinata ad applicarsi anche per la fattispecie ordinaria.

Per quanto attiene invece alla cd. “architettura strutturale” degli accordi, lo studio si sofferma sulle principali posizioni assunte dalla dottrina, ripercorrendo gli argomenti a sostegno di ciascun orientamento. In particolare, la letteratura mira ad identificare l’accordo di ristrutturazione come un contratto bilaterale plurisoggettivo – enfatizzando il dualismo tra debitore e massa di creditori – oppure come plurilaterale a comunione di scopo, in virtù dell’unitarietà del rapporto con ciascun creditore.

Nel secondo capitolo, lo studio si concentra sugli accordi con intermediari finanziari (art. 182-septies l.f.), in ordine ai presupposti soggettivi e oggettivi per la loro applicazione, alla legittimità a ricorrervi da parte delle società di gestione del risparmio e dei fondi comuni d’investimento, con una particolare attenzione rivolta – in considerazione della spiccata natura privatistica dell’istituto in parola – al ruolo della buona fede, alla gestione dei flussi informativi durante i negoziati e all’operazione di suddivisione dei creditori in categorie.

Un tema che, inoltre, non è rimasto estraneo all’analisi svolta riguarda la propagazione degli effetti verso i creditori bancari non aderenti, e sui limiti delle prestazioni ad essi estensibili. Un simile questione risulta di centrale importanza alla luce dell’emanando Codice della Crisi d’impresa, in considerazione della generale previsione di estendibilità degli effetti degli accordi de quibus anche nei confronti dei creditori diversi da quelli bancari (si v. art. 61 quinto comma CCI).

Un ultimo spunto di riflessione è stato, infine, rinvenuto in ciò che concerne il vaglio omologatorio del giudice secondo il cd. best interest test delle “alternative concretamente praticabili” per i creditori non aderenti.

Infine, la ricerca effettuata, si conclude con i profili contenutistici sia degli accordi ex art. 182-septies l.f., che di quelli ordinari (art. 182-bis l.f.) al fine di evidenziare alcune delle più comuni clausole inserite nei piani di ristrutturazione finanziaria.

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