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Editoriali

Caso Tercas: la commedia degli equivoci e degli inganni ed il tempo dell’illusione (svanita)

14 Luglio 2021

Matteo De Poli

Professore Ordinario di Diritto dell’Economia, Università degli Studi di Padova

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa

E così, dopo aver illuso molti, con la sentenza sul caso Tercas[1], sulla possibilità di imputare alla Commissione i danni causati ad alcuni azionisti e obbligazionisti subordinati di Banca delle Marche dal mancato salvataggio della banca, il Tribunale dell’Unione europea ci riporta con i piedi a terra ricordandoci, nella sostanza, che una cosa è annullare un atto di un’istituzione dell’Unione, un’altra ottenere una condanna della stessa al risarcimento dei danni a causa di tale condotta (o, ma non cambia alcunché, dell’omissione di una condotta dovuta).

Invero, con sentenza del 30 giugno 2021, la terza sezione del Tribunale – la stessa che aveva deciso il primo grado della domanda di annullamento della decisione con cui la Commissione aveva considerato come un aiuto di Stato illegittimo l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi (FITD) a sostegno di Banca Tercas – ha respinto la domanda di alcune fondazioni e società italiane diretta ad ottenere il risarcimento del danno materiale che esse affermavano aver subito a causa del comportamento della Commissione tradottosi nell’aver impedito il salvataggio di Banca Marche ad opera del Fondo.

Com’è possibile, si chiederanno molti, che il Tribunale abbia deciso in questo modo se, come detto, a marzo del 2019, trattando l’omologa questione relativa a Banca Tercas, aveva statuito che la Commissione aveva erroneamente ritenuto che le misure ideate e poi attuate da Fondo interbancario di tutela dei depositanti per salvare quella banca presupponessero l’uso di risorse statali e fossero imputabili allo Stato italiano – risultando dunque esse avere natura di aiuto di stato illegittimo – ed aveva annullato la decisione della Commissione che ordinava il recupero delle somme così erogate? Decisione poi confermata dalla Corte di giustizia con propria decisione del 2 marzo 2021.

Com’è possibile, dunque?

Come detto, l’accertamento dell’illegittimità di un atto di un’istituzione europea pare cosa meno perigliosa dell’imputare all’autore di tale atto una responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 340, co. 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea[2]. Particolarmente scivoloso è, in particolare, l’accertamento del nesso di causalità, la cui ricognizione può poggiarsi tanto su prove storiche quanto, ed ancor di più, su prove logiche ed anche per tale ragione è frequentemente di difficile prevedibilità. È su questo scoglio che si è infranta la garibaldina nave dei ricorrenti. Uno scoglio difficile da aggirare se è vero, com’è vero, che i casi di condanna di un’istituzione europea al risarcimento dei danni sono davvero pochi.

L’aver tentato senza successo, però, nuoce sì ai ricorrenti ma non al piacere intellettuale di leggere una sentenza che non solo è ricca di spunti e ben motivata, ma è anche capace di mettere in scena quella che potremo chiamare – se verrà consentito un istante di leggerezza – una commedia degli equivoci e degli inganni (copyright di un tal William Shakespeare).

E sì, perché a non uscirne proprio bene è il tentativo di salvataggio della decotta Banca Marche, che emerge come il frutto di ritardi ed indecisioni (del Fondo ma, più in generale, del settore bancario italiano), di incomprensioni ed ingenuità (di Banca d’Italia) ma, anche e soprattutto, di una condotta poco chiara della Commissione.

La ratio decidendi del Tribunale di primo grado

Come già detto, il Tribunale ha rigettato la domanda perché i ricorrenti avrebbero mancato di provare il nesso di causalità tra condotta della Commissione e danno accusato da azionisti e obbligazioni subordinati. Questi, pur riconoscendo la grave crisi patrimoniale di Banca Marche e l’esigenza di una falcidia delle pretese di queste due categorie, avevano infatti sostenuto che il danno che avrebbero subito sarebbe stato minore se fosse stato consentito al Fondo di ricapitalizzare la banca. La “colpa”, dunque, fu a loro avviso della Commissione, che, in più occasioni e di crescente intensità (“crescente durezza”, secondo il Tribunale, riportando un’affermazione delle ricorrenti), manifestò la erronea convinzione che l’utilizzo del FITD fosse equivalente all’uso di fondi pubblici e che, pertanto, fosse necessaria una notifica preliminare di detto intervento e una positiva decisione sullo stesso.

Sostennero i ricorrenti che a nulla servirono le obiezioni di Banca d’Italia, dal momento che non riuscirono a superare il muro eretto dalla Commissione e spinsero la stessa autorità ed il Ministero dell’economia, data la gravità della crisi di Banca Marche e la prossima cessazione dei pagamenti, ad avviare la risoluzione della stessa, azzerando il valore di azioni e obbligazioni subordinate[3]. Attendere una valutazione della Commissione sulla legittimità dell’eventuale intervento del Fondo, infatti, sarebbe stato incompatibile con l’esigenza di una celere gestione della crisi.

Il Tribunale usa più argomenti per escludere che il comportamento della Commissione – ossia, il suo travisamento della nozione di aiuto di Stato – sia stato la causa effettiva ed esclusiva del pregiudizio subito dalle ricorrenti:

1) Dagli atti di causa non emerge in alcun modo una valutazione giuridica della Commissione sulla natura di aiuto di Stato dell’intervento del FITD. La Commissione avrebbe solo ricordato alle autorità italiane che quell’intervento poteva costituire un aiuto di Stato, ed in tal caso sarebbe stato necessario notificare la misura prima della sua autorizzazione da parte di Banca d’Italia. Dunque, un intervento non sul merito, ma puramente procedurale.

2) È vero che la Commissione riteneva equiparabili, in via generale, gli interventi del FITD agli aiuti di Stato, qualificando le risorse del primo come fondi pubblici, ma è da escludere altresì che le ricorrenti abbia provato che, prima dell’avvio della risoluzione, la Commissione abbia minacciato le autorità italiane di bloccare o vietare eventuali interventi del Fondo a favore di Banca Marche o abbia esercitato pressioni di merito.

3) Se Banca d’Italia, in quel contesto, ha pensato che la Commissione, come nel caso Tercas, avrebbe ritenuto l’eventuale intervento del Fondo un aiuto di Stato illegittimo, ha sbagliato perché nel caso Tercas le modalità dell’intervento di FTID erano chiare, Banca d’Italia aveva rilasciato la propria autorizzazione ed esse era state attuate. Nel caso di Banca Marche, per contro, «non esisteva né un progetto di intervento definitivo del FITD […] né una richiesta di autorizzazione […], né esisteva una notifica formale di tale progetto o un’altra ragione per cui la Commissione avviasse un procedimento di indagine formale a tale proposito. Stanti queste condizioni, in tale fase era in effetti impossibile per la Commissione sapere con sufficiente precisione se l’eventuale intervento previsto dal FITD a favore di Banca delle Marche potesse soddisfare u criteri di un aiuto di Stato» (così il par. 59 della sentenza in commento).

4) Pur riconoscendo, al par. 67, che il comportamento della Commissione «ha giocato un certo ruolo nel processo di istruzione che ha indotto le autorità italiane a decidere la risoluzione» di Banca Marche, secondo il Tribunale, la decisione di sottoporre a risoluzione la banca è imputabile esclusivamente alle autorità italiane, è stata presa in modo autonomo e non è stata influenzata in modo decisivo dalla Commissione ma solo dalla constatazione dello stato di dissesto della banca.

5) Secondo il Tribunale, il danno sofferto dai ricorrenti trova la sua causa efficiente nella dimensione del dissesto di Banca Marche e nell’assenza di due circostanze che l’avrebbero potuto impedire: un intervento del settore privato o un intervento del Fondo interbancario, quest’ultimo, però, ad uno stadio troppo germinale per potersi definire risolutorio in una situazione caratterizzata da un’imminente cessazione dei pagamenti.

Quelli ora citati sono gli argomenti utilizzati, con grande maestria nella ricostruzione dei fatti e dei nessi logici tra essi, dal Tribunale. Non sono però mancate le stoccate: per il Fondo, lento nel definire le misure di dettaglio; e per Banca d’Italia, che non solo viene descritta – in modo non troppo credibile – un po’ come una sprovveduta alle prime armi che confonde obiezioni di carattere procedurale con prese di posizioni di sostanza ma alla quale, con un’insinuazione molto sotto traccia ma ugualmente evidente, si contesta di aver dato una ricostruzione della vicenda pro domo sua «in un momento in cui [essa] era già esposta a ricorsi per risarcimento danni proposti dalle ricorrenti dinanzi ai giudici italiani» (par. 63) e, quindi, di non essere credibile: se, infatti, essa ed il Fondo fossero state convinte della possibilità di salvare Banca Marche, questi «avrebbero potuto seguire la stessa condotta contraddittoria» tenuta quanto a Banca Tercas, consentendo l’attuazione degli interventi di sostegno.

Tercas o non Tercas, questo è il problema

Non sono certo che questa decisione disveli un’eterogenesi dei fini, ossia che essa abbia un fine secondario. Ma non lo voglio nemmeno escludere.

Non credo solo, infatti, che il Tribunale abbia avuto un occhio di riguardo verso la Commissione per evitare di aprire una falla verso la possibilità di azioni di danno; credo altresì – facendo mio quanto pochi giorni fa, da queste colonne, ci ha detto Filippo Sartori commentando la chiusura della vicenda giudiziaria di Banca Tercas[4]– che il Tribunale ci abbia voluto implicitamente ricordare che la Commissione sarà pur stata opaca nella gestione del dialogo con le autorità italiane sul ruolo del FITD nel caso di Banca Marche ma che il rapporto tra intervento del Fondo e ingerenza delle autorità italiane non può dirsi risolto dalla sentenza Tercas.

 


[1] Si v. C. giust. UE, grande sez., 2 marzo 2021, Causa C-425/19 P Commissione c. Repubblica Italiana e a., in Rivista Trimestrale di Diritto dell’Economia, 1, 2021, II, pp. 1 ss., con nota di D. Rossano, La Corte di giustizia UE sul caso Tercas: oltre il danno, la beffa, pp. 9 ss.; la sentenza, come è noto, conferma quanto statuito da con Trib. UE, sez. III ampl., 19 marzo 2019, Cause riunite T-98/16, T-196/16 e T-198/16 Repubblica Italiana e a. c. Commissione, in Diritto della Banca e del Mercato Finanziario, 2, 2019, I, pp. 339 ss., con nota di S. Amorosino, La Commissione europea e la concezione strumentale di “mandato pubblico” (a proposito del “caso FITD/Tercas” – Sentenza del Tribunale UE 19 marzo 2019), pp. 364 ss.; e in Rivista Trimestrale di Diritto dell’Economia, 2, 2019, II, pp. 1 ss., con nota di D. Rossano, Il Tribunale UE boccia la Commissione europea sul caso Tercas, pp. 23 ss. In arg. si v. anche, S. Maccarone, Il caso Tercas e la sentenza della Corte di Giustizia Europea, in Bancaria, 4, 2021, pp. 53 ss.; Id., La sentenza del Tribunale europeo sul caso Tercas, 3, 2019, pp. 20 ss.; e V. Minervini, La regolazione delle crisi bancarie dopo la sentenza Tercas, in Mercato Concorrenza Regole, 1, 2020, pp. 73 ss.

[2] In arg., si v., ex multis, R. Baratta, La responsabilità aquiliana dell’Unione europea, in Il Diritto dell’Unione Europea, 3, 2013, pp. 513 ss.; e K. Gutman, The evolution of the action for damages against the European Union and its place in the system of judicial protection, in Common Market Law Review, 3, 2011, pp. 95 ss.

[3] In arg., si v. spec. F. Capriglione, Luci ed ombre nel salvataggio di quattro banche in crisi, in Rivista di Diritto Bancario, 2, 2016, I, passim; I. Mecatti, Il decreto salva banche, in M.P. Chiti e V. Santoro (a cura di), L’Unione Bancaria Europea, Pacini, 2016, 585 ss.; e S. Bonfatti, Crisi bancarie in Italia, ibidem, 2, 2018, I, spec. pp. 267 ss.

[4] Si v. F. Sartori, Prospettive dopo Tercas, in www.dirittobancario.it/editoriali/filippo-sartori/prospettive-dopo-tercas.

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