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Editoriali

La riforma organica del diritto della crisi d’impresa

6 Novembre 2017

Stefano Ambrosini

Professore ordinario di diritto commerciale, Università del Piemonte orientale

Di cosa si parla in questo articolo

1. I lineamenti generali della novella

Forse siamo davvero alla vigilia della tanto attesa riforma organica del diritto della crisi d’impresa, se il Governo riuscirà a varare i decreti delegati prima dell’ormai imminente scioglimento delle Camere.

Ma già il tenore della legge delega, frutto del lavoro della Commissione Rordorf durante tutto il 2015 e del successivo iter parlamentare, ci dice di un’intera disciplina che muta, in molti casi radicalmente, i propri tratti “fisionomici”, a cominciare dall’abolizione del termine “fallimento”, sintomatica di un salto culturale grazie al qualela crisi viene finalmente considerata come eventualità in qualche modo fisiologica per un’impresa e non più stigma morale: il che allinea l’Italia alla maggior parte degli altri Paesi europei, adeguandone in buona parte l’ordinamento ai principi elaborati in sede comunitaria (Proposta di Direttiva) e internazionale (Banca Mondiale e Uncitral).

La dichiarataambizione sistematica è quella di creare una sorta di testo unico delle crisi d’impresa, con la sola eccezione– rispetto al disegno originario –dell’amministrazione straordinaria, in quanto oggetto di stralcio nelle more dei lavori parlamentari.

E tale ambizione emerge chiaramente dai principi ispiratori della riforma, che nel dibattito successivo ai lavori della Commissione Rordorf hanno riscosso vasto consenso tra gli operatori, trattandosi di risposte a istanze ed esigenze largamente avvertite in campo economico: acominciare dalle misure di allerta, ormai indifferibili nell’ottica della tempestiva emersione della crisi e non a caso fortemente volute anche all’estero (early warning), essendo ormai patrimonio comune la consapevolezza che la salvaguardia di complessi produttivi e livelli occupazionali passa in primo luogo attraverso la tempestività dell’intervento risanatore; senza sottacere che alla base del meccanismoc’è anche la presa d’atto della difficoltà di molte imprese a dar vita in modo autonomo a processi di ristrutturazione precoce a causa di ben noti fattori (sottocapitalizzazione, inadeguatezza degli assetti di governance, passaggi generazionali, ecc.).

L’attivazione di questi strumenti risulta opportunamente collegata, nella legge delega, a un sistema di incentivi e disincentivi, nonché al ruolo degli organi di controllo societari e dei creditori qualificati: dal loro concreto funzionamento dipenderà ilsuccessodi tali innovative misure.

Non meno importante è l’obiettivo della legge delega di semplificare e armonizzare le procedure, a partire dalla previsione di una fase iniziale unica e di un ambito di applicazione che va ben oltre l’imprenditore commerciale, coinvolgendo altresì attività di natura agricola, professionale e civile.

Una delle parti più rilevanti e articolate della legge delega è quella sul concordato preventivo e sugli accordi di ristrutturazione, ove si trova la declinazione di numerosi principi che dovrebbero risultare idonei a chiarire quegli aspetti che più di altri sono attualmente oggetto di contrasti interpretativi. Di essi si dirà nei due paragrafi che seguono.

Non si è persa l’occasione, poi, per intervenire su crisi e insolvenza dei gruppi di imprese, individuando criteri all’insegna della “gestione unitaria” senza per questo deflettere dal principio di separazione delle masse attive e passive.

L’attenzione alla tutela dei creditori, del resto, continua a costituire – ne’ poteva essere altrimenti – la stella polare del legislatore e presenta profili di emersione nuovi come la stabilizzazione del beneficio della prededuzione della nuova finanza e la possibilità di ottenere la revoca dell’automatic stay. Il bilanciamento dei diversi interessi in gioco appare, anche da questo punto di vista, congruamente realizzato, perché fra tutela delle imprese debitrici e protezione dei creditori si è costantemente ricercato un assetto improntato a efficienza ed equilibrio. E gli stessi obiettivi appaiono perseguiti nell’ambito del sovraindebitamento, giacché si è resa la procedura più semplice e accessibile e si è dato più peso al fenomeno esdebitatorio.

Molto opportunamente, infine, si è sancita la necessità di rivedere la disciplina dei privilegi (i quali costituiscono una selva sempre più intricata), consci del fatto che essa, a ben vedere, rappresenta il maggiore ostacolo – ben più del depotenziamento della revocatoria o delle classi nel concordato – al trattamento paritario fra i creditori.

2. Concordato preventivo

In tema di concordato si è inteso anzitutto, comprensibilmente, incentivare quello con continuità aziendale, chiarendo che nel relativo perimetro vanno ricompresi tanto la cessione d’azienda, quanto il suo affitto; e stabilendo che, nel caso di c.d. concordato misto, opera il criterio della necessaria prevalenza della continuità sull’eventuale componente dismissiva: scelta, questa, assai poco felice, in quanto mette a rischio, specie se declinata in modo eccessivamente rigido, la possibilità di sottrarre alla liquidazione giudiziale imprese ancora vitali e quindi suscettibili di salvataggio.

Per il concordato liquidatorio, limitato all’ipotesi di apporto di risorse esterne al patrimonio aziendale, si dovrà decidere, in sede di decreti delegati, se specificare quando l’aumento della soddisfazione dei creditori scaturente da tale apporto può considerarsi rilevante, ovvero se affidarsi all’interpretazione dei tribunali, stante in ogni caso il rispetto della soglia minima del 20%.

Rispetto al progetto della Commissione Rordorf è stato espunto l’innovativo concordato del terzo (pensato in qualche modo sulla falsariga dell’analogo istituto di matrice statunitense), in quanto si è temuto potesse essere fonte più di problemi che di opportunità; anche se si sarebbe trattato di uno strumento alquanto efficace, in thesi, ai fini della tempestiva emersione della crisi.

Altro tema centrale che viene in evidenza è quello del controllo giudiziale, giacché la delega postula la fissazione delle modalità di accertamento della veridicità dei dati e della fattibilità anche economica del piano. Quest’ultimo scrutinio, ad eccezione dei casi di manifesta inattitudine del piano a perseguire il superamento della crisi, non potrà prescindere, in base alla delega, dai rilievi del commissario giudiziale e quindi si collocherà tendenzialmente in un momento successivo all’ammissione.

Quanto al voto dei creditori, dovrà stabilirsi se i privilegiati votano per l’intero credito (come pare preferibile dal punto di vista della certezza del diritto) nel caso di dilazione (moratoria ultrannuale nel concordato in continuità), o di modalità satisfattive diverse dal pagamento.

Con riguardo alla prededuzione, la delega – con una soluzione che ha quanto meno il pregio della chiarezza – la cristallizza tanto con riferimento ai crediti dei professionisti in caso di apertura della procedura (a seguito e per effetto della quale la delega mira a rendere il relativo rango incontestabile), quanto con riguardo ai finanziamenti autorizzati dai giudici in caso di successivo insuccesso del concordato, salve naturalmente le ipotesi di frodi ai creditori: riconoscendo, con quest’ultima previsione, il ruolo cruciale delle banche nella soluzione della crisi e la conseguente necessità di non disincentivarne l’intervento, eliminando per quanto possibile le incertezze circa la permanenza del beneficio della prededuzione.

Quanto poi alle vicende “patologiche” del concordato, la delega consente al commissario di chiedere la risoluzione solo su istanza di un creditore. E nell’affrontare il punto sarà opportuno chiarire se il passaggio alla liquidazione giudiziale presupponga necessariamente o meno la previa risoluzione del concordato.

Di grande interesse sarà infine la disciplina dei profili societari del concordato, dalla prevenzione di comportamenti ostruzionistici e comunque dilatori da parte del debitore alla tutela delle operazioni straordinarie funzionali al piano. Con un caveat circa la dubbia possibilità di attribuire al commissario il potere indiscriminato di agire in responsabilità contro gli amministratori e i sindaci della società, stante la necessaria “conformità ai principi dettati dal codice civile” e la conseguente osservanza della regola evincibile dall’art. 2394-bis.

3. Gli accordi di ristrutturazione

La legge delega ha opportunamente ampliato lo spettro applicativo degli accordi di ristrutturazione, valorizzandone le potenzialità inespresse attraverso la previsione di presupposti meno stringenti.

La novità di maggiore importanza concerne l’estensione della procedura di cui all’art. 182-septies all’accordo di ristrutturazione non liquidatorio (ovvero alla convenzione di moratoria) con creditori, anche diversi da banche e intermediari finanziari, rappresentanti almeno il settantacinque per cento dei crediti di una o più categorie giuridicamente ed economicamente omogenee.

La disposizione testé descritta suona quanto mai opportuna, dal momento che il legislatore del 2015, nell’introdurre una norma – l’art. 182-septies, appunto – diretta esclusivamente agli intermediari finanziari, ha trascurato il fatto che nella pratica sono spesso alcuni fornitori a indulgere a condotte ostruzionistiche (quando non, nei casi patologici, scopertamente ricattatorie). In tal modo la legge viene a colmare un’oggettiva lacuna del nostro ordinamento.

Sempre con riferimento all’accordo di ristrutturazione, si stabilisce altresì di eliminare o ridurre la soglia del sessanta per cento dei crediti prevista nell’articolo 182-bis ove il debitore non proponga la moratoria del pagamento dei creditori estranei, di cui al primo comma di detto articolo, né richieda le misure protettive previste nel successivo sesto comma. Anche questa novità va salutata con favore, dal momento che nella situazione prefigurata dall’anzidetta previsione (peraltro non frequentissima nella pratica) il debitore non fruisce né della dilazione, né delle misure protettive, sicché pare senz’altro sufficiente richiedere la maggioranza semplice dei creditori.

E’ stato infine previsto giustamente:

a) di assimilare la disciplina delle misure protettive degli accordi di ristrutturazione dei debiti a quella prevista per la procedura di concordato preventivo, nei limiti di compatibilità;

b) di estendere gli effetti dell’accordo ai soci illimitatamente responsabili, alle medesime condizioni previste nella disciplina del concordato preventivo; prevedendo che il piano attestato abbia forma scritta, data certa e contenuti analitici;

c) di imporre la rinnovazione delle prescritte attestazioni nel caso di successive modifiche, non marginali, dell’accordo o del piano.

L’auspicio, a livello generale, è soprattutto che i decreti delegati non si discostino dal più importante dei principi in materia: la dichiarata preferenza per la soluzione negoziata della crisi rispetto alla liquidazione giudiziale, in un quadro – beninteso – di verificata strumentalità al miglior soddisfacimento dei creditori e fatti doverosamente salvi i casi di abuso, che dovranno continuare a essere repressi con severità nel generale interesse al buon funzionamento del sistema economico.

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