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Attualità

La Cassazione torna sulla validità della tail coverage abbinata a clausole claims made

27 Luglio 2021

Massimo Mazzola, Avvocato, Dottore di ricerca e professore a.c. di diritto assicurativo nell’Università di Trento

Di cosa si parla in questo articolo

[*] Con pronuncia n. 8526 del 25 marzo scorso, la Cassazione è stata chiamata a sindacare la validità della previsione contrattuale – c.d. tail coverage o extended reporting period – talora apposta alle garanzie di responsabilità civile strutturate su base claims made, recante l’estensione ultrattiva della garanzia, a copertura di richieste risarcitorie, conseguenti a sinistri verificatisi durante l’annualità di polizza, tuttavia pervenute all’assicurato oltre tale finestra temporale.

Tale opzione contrattuale è ex lege imposta – vale la pena ricordarlo – dalla normativa in materia di responsabilità professionale degli esercenti la professione sanitaria (art. 11, co. 1, II alinea, L. 24/2017), la quale prevede, per l’ipotesi di cessazione definitiva dell’attività, quale che ne sia la causa, un periodo di ultrattività della copertura in relazione alle richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi alla scadenza della polizza e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi durante il relativo periodo di efficacia, incluso quello di retroattività (almeno decennale) della copertura; parimenti si è provveduto in materia di assicurazione di responsabilità civile degli avvocati, ai sensi dell’art. 2, co. 1, d.m. 22 settembre 2016. D’altro canto, uno specifico obbligo di offerta, previo adeguamento del premio, di una postuma decennale per tutte le polizze di responsabilità civile professionale, è stato introdotto dall’art. 1, co. 26, L. 124/2017 (Legge annuale per la concorrenza e il mercato).

Nel caso di specie, era previsto che il diritto all’indennizzo fosse garantito non solo per le richieste effettuate durante la vigenza della polizza (ovvero sino al 31.01.2003), quanto altresì per quelle effettuate entro un anno successivo alla detta scadenza (ovvero sino al 31.01.2004).

Assecondando l’esito interpretativo di cui all’arresto della III sezione, del 9 luglio 2019, n. 18413, la Suprema Corte ha ritenuto valida la clausola in esame, «sia perché non esclude totalmente le richieste di risarcimento postume rispetto alla scadenza del contratto (essendo consentite quelle avanzate nell’anno successivo alla cessazione del contratto); sia perché detto ultimo termine è da ritenersi congruo anche in relazione alla durata triennale del rapporto assicurativo». Data per assunta la correttezza della decisione – ché la tail coverage, all’evidenza, dispone favorevolmente nei confronti dell’assicurato -, mette conto rilevare che, sotto altro e concorrente profilo, la previsione di tale estensione di garanzia non si pone affatto in contrasto con la regola di cui all’all’art. 2965 c.c., rendendo «assolutamente impossibile per il contraente esercitare il proprio diritto» (così, invece, Trib. Genova, sez. II, 8 aprile 2008, in Danno resp., 2009, 103 ss., con nota di I. Carassale). Come noto, infatti, la fissazione convenzionale del periodo di copertura incide sulla nascita dell’obbligo indennitario posto in capo all’assicuratore, sicché il richiamo alla disciplina della decadenza, nella prospettiva di valutare la liceità della previsione negoziale in esame, si rivela inconferente: trattasi, infatti, di istituto che opera una volta che un diritto è già sorto, «mentre rispetto alle vicende escluse dalla clausola claims madeil credito dell’assicurato verso l’assicuratore non sorge neppure». (P. Gaggero, Validità ed efficacia dell’assicurazione della responsabilità civile claims made, in Contr. impr., 2013, p 437; sia consentito un rinvio anche a M. Mazzola, La copertura su base claims made: origine, circolazione del modello e sviluppi normativi, in Eur. dir. priv., 2017 p. 1037; v. anche Cass. civ., Sez. Un., 6 maggio 2016, n. 9140, in Pluris, § 6.2.).

In questo torno di questioni, si colloca tangenzialmente l’ordinanza della Suprema Corte, sez. III, del 13 maggio 2020, n. 8894 (reperibile in Pluris), avente a oggetto il sindacato sulla validità di una peculiare variante della clausola “a richiesta fatta”, ovvero la cd. “claims made and notified”: nella fattispecie, era previsto l’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne l’assicurato solo dei sinistri dipendenti da condotte tenute durante il vigore della copertura, ma a condizione che: “a) vi fosse stata richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato entro quel periodo; b) che ricevuta richiesta di risarcimento, entro 12 mesi dalla cessazione del contratto, l’assicurato avesse denunciato il sinistro alla compagnia”. Pertanto, la garanzia era destinata ad operare soltanto in relazione alle richieste di risarcimento inoltrate, per la prima volta, all’assicurato durante il periodo di assicurazione e denunciate da quest’ultimo agli assicuratori nel corso del medesimo periodo. Secondo la Cassazione, in tale ipotesi, il contrasto con l’art. 2965 c.c. sarebbe effettivo: l’assicurato, infatti, potrebbe denunciare l’evento nei 12 mesi dalla cessazione del contratto, soltanto qualora abbia ricevuto nel medesimo frangente temporale la richiesta di risarcimento del danno, la quale è variabile esclusivamente dipendente dalla volontà del terzo danneggiato. Per tale via, la clausola violerebbe con l’art. 2965 c.c., che commina la nullità dei patti con cui si stabiliscono decadenze che rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto. La difficoltà di esercitare il diritto non sarebbe «da valutarsi in termini temporali, nel senso che dodici mesi sono sufficienti per denunciare il sinistro all’assicurazione, ma va intesa anche nei termini della concreta possibilità di evitare la decadenza attraverso una propria condotta, possibilità che è del tutto esclusa o comunque assai ridotta se l’assicurato può fare denuncia di sinistro solo in dipendenza dalla condotta del terzo, sulla quale ovviamente non può influire». Tale conclusione trascura il quid proprium della modulazione temporale del rischio di cui alle clausole claims made and notified: nemmeno in tal caso può richiamarsi la disciplina della decadenza, poiché, qui, il diritto alla prestazione assicurativa non può ancora dirsi venuto ad esistenza, sorgendo contrattualmente non soltanto con il compimento dell’illecito, né con la richiesta di pagamento, quanto piuttosto all’atto di trasmissione del claim dal danneggiante-assicurato al proprio assicuratore. L’assicuratore viene obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo di assicurazione, lo ha avvisato, nel periodo convenuto, di essere stato richiesto di pagare ad un terzo.

Al riguardo, si consideri che, secondo recente dottrina, il modello claims made and notified – recante la perdita del diritto dell’assicurato alla manleva per i sinistri denunciati dopo la scadenza del termine di efficacia della polizza – porrebbe qualche problema di compatibilità con la disciplina del codice civile in punto di estinzione del diritto all’indennità dell’assicurato, per tardiva denuncia di sinistro, ex art. 1915 c.c.: infatti, se la denuncia del presunto danneggiato dovesse giungere in un periodo prossimo alla scadenza della polizza, potrebbe diventare alquanto difficoltoso per l’assicurato trasmettere tempestivamente la denuncia alla compagnia, in modo da far ricadere il sinistro nella copertura della polizza ormai vicina alla scadenza. (v. G. Facci, Le clausole claims made and reporteded il difficile equilibrio con la disciplina sull’obbligo di avviso del sinistro, in Resp. civ. prev., 2018, p. 1474 ss.). Sul punto, sia consentito altresì dissentire. «The reporting requirement, after all, is what distinguishes claims-made-and-reported policies from other kinds of liability policies» (Anderson v. Aul, 2015 WI 19 (Feb. 25, 2015), 33): la perdita del diritto all’indennizzo, in ogni caso di denuncia del claim oltre i termini temporali in cui la polizza dispiega i suoi effetti, è un logico portato della modulazione del rischio delimitata dal c.d. reporting requirement, che si configura quale presupposto necessario per il concretizzarsi del rischio assicurato. In presenza di denuncia effettuata dopo la cessazione dell’efficacia della polizza, non può – in altri termini – ritenersi essersi realizzato il rischio, riconducibile al sinistro posto in essere dall’assicurato, di cui quest’ultimo debba rendere edotto il proprio assicuratore. Né si può convenire sul fatto che, così opinando, si finirebbe per violare il principio secondo il quale, nell’assicurazione contro i danni, il sinistro di cui all’art. 1882 c.c. consiste in un evento dannoso e non voluto, rispetto al quale l’assicurato deve avere un interesse contrario (v. ancora, G. Facci, cit., pp. 1484-1485). A ben vedere, infatti, anche nell’ambito del modello claims made and notified, il “sinistro” rimane l’evento lesivo (di matrice contrattuale o extracontrattuale che sia), foriero del danno al terzo, da cui discende l’inverarsi del “rischio” di alterazione negativa del patrimonio del danneggiante-assicurato, conseguente all’insorgenza dell’obbligazione risarcitoria: oggetto dell’assicurazione rimane l’indennizzo del danno determinato dall’illecito, quantunque le parti attribuiscano rilevanza – al mero fine di delimitare la “durata materiale” del contratto (v. E. Bottiglieri, Dell’assicurazione contro i danni (Artt. 1904-1918), in F.D. Busnelli (diretto da), Cod. civ. comm., Milano, 2010 p. 274) – alla trasmissione della richiesta risarcitoria del terzo all’assicuratore.

In tale prospettiva, giova rammentare che, se è vero – come è vero – che si assiste a «Un diritto sempre più giurisprudenziale che soppianta quell’idea di legalità nel settore che attribuiva la palma della supremazia al legislatore, alla vigilanza e all’auto-regolamentazione (…) l’autorità giudiziaria non può trascurare gli effetti delle sue azioni e non farsi carico dei costi che le sue decisioni hanno sul sistema bancario, finanziario e assicurativo.» (F. Sartori, Statuto contrattuale e disciplina dell’impresa: il criterio della «sana e prudente gestione», in Banca, borsa, tit. cred., 2017, p. 156): lo sviluppo di orientamenti non sufficientemente attenti a una corretta lettura dei dispositivi contrattuali, siccome elaborati in seno alla prassi corrente, è pertanto censurabile non solo sul piano della coerenza sistematica, quanto vieppiù su quello dei presidi pubblici, deputati alla regolazione del mercato cui, per l’appunto, decisamente concorre la giurisprudenza pratica.

 

[*] Esperto presso IVASS – Il contenuto del presente scritto rappresenta il personale pensiero dell’Autore e non impegna in alcun modo l’Istituto di appartenenza.

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