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Dossier

La stipulazione dei contratti bancari via e-mail. A proposito dell’art. 4 del «decreto liquidità».

7 Maggio 2020

Benedetta Bonfanti, dottoranda di ricerca in Diritto civile nell’Universita Cattolica di Milano

Di cosa si parla in questo articolo

1.- Tra le disposizioni adottate col recente «decreto liquidità» (8 aprile 2020, n. 23), il legislatore ha introdotto all’art. 4 una norma in tema di forma dei contratti bancari di carattere temporaneo, in quanto riferibile a quelli conclusi tra l’entrata in vigore del decreto e il termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020[1]. La novità concerne la prescrizione di «non necessità» della sottoscrizione del cliente – per il (solo) caso si tratti di clientela al dettaglio – ai fini della valida stipulazione dei relativi negozi.

Ampliando la fattispecie di cui all’art. 20, comma 1-bis, del d.lgs. 82 del 2005 (Codice dell’amministrazione digitale), disciplinante l’equiparazione del documento informatico sottoscritto attraverso una firma digitale ovvero altro tipo di firma elettronica qualificata o avanzata alla scrittura privata ex art. 2702 c.c., la norma in commento stabilisce, in particolare, che il consenso del cliente (al dettaglio) può essere utilmente espresso pure «mediante il proprio indirizzo di posta elettronica non certificata o con altro strumento idoneo», purché sia «accompagnato» da copia di un documento di riconoscimento del contraente, si riferisca a un «contratto identificabile in modo certo» e venga opportunamente conservato «insieme al contratto medesimo» (il non brillantissimo testo normativo dovrebbe alludere, con il primo richiamo al «contratto», all’articolato di specifica regolamentazione dell’operazione; con il secondo richiamo, al documento relativo). Per questa via, dunque, l’invio di una semplice e-mail viene a «tenere il luogo» della sottoscrizione del cliente.

2.- Nella legislazione attuale, il tema della forma dei contratti bancari è interessato da una normativa a più livelli e, in tempi non remoti, è stato fatto oggetto di importanti interventi giurisprudenziali. Sul piano della normativa di settore, accanto agli artt. 117 e 125-bis T.U.B. che impongono la forma scritta ad validitatem del contratto e la consegna al cliente dell’esemplare, la disciplina è confermata dalle Disposizioni di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca D’Italia (par. 2 della sezione III rubricata «Contratti», p. 22 delle Disposizioni pubblicate sul sito dell’Autorità, nella versione ultima).

Dal canto suo, la Suprema Corte nel noto intervento nomofilattico in materia di contratto c.d. monofirma (Cass. SS.UU. n.898/2018), ha chiarito che una simile formalità (composta da scritto e consegna), rispondendo ad una funzione protettiva del cliente, è preordinata a garantire che questo sia messo nella disponibilità di un documento contenente le regole del rapporto per verificarne e monitorarne la corretta esecuzione. Quanto allo specifico profilo della sottoscrizione del cliente, ha precisato che, lungi dall’essere un mero accessorio in calce ad un documento, la firma è elemento essenziale ai fini dell’integrazione della forma scritta, teleologicamente orientata ad assolvere la duplice funzione di identificare l’autore della dichiarazione e attestarne il consenso consapevole.

Ciò premesso, la disposizione in commento, introducendo una formalità elettronica alternativa a quelle esistenti, sembra perseguire lo scopo di rendere più semplice e snello, per il cliente, procedere alla conclusione di un contratto a distanza con la banca: questo nel presupposto che le diverse tecnologie abilitanti la firma elettronica non risultano, a tutt’oggi, a disposizione di qualunque soggetto (cfr. in questo senso la Circolare ABI 9 aprile 2020).

3.- La norma, invero, presenta non pochi aspetti di criticità, nonché – ancor prima – alcune perplessità circa la sua reale utilità, che se non assente, risulta comunque ridotta ad alcune ipotesi particolari.

L’introduzione infatti dell’indirizzo e-mail non certificato tra le forme ad validitatem ai fini della conclusione dei contratti ex art. 117 T.U.B. (e per il rimando a questo, dei negozi di cui agli artt. 125-bis, 126-quinquies e 126-quinquiesdecies T.U.B.) si pone come una scelta deviante dal sistema normativo e operativo attuale quanto a contrattazione a distanza e digitale nel settore bancario. Per questo, non è forse inutile preliminarmente delinearne i tratti essenziali.

Le predette Disposizioni di trasparenza emanate dall’Autorità di vigilanza definiscono, al par. 3 dell’apposita sezione V dedicata alle “Tecniche di comunicazione a distanza”, gli strumenti digitali idonei a integrare la forma scritta ad validitatem (pag. 37). Segnatamente, si stabilisce che il documento informatico può soddisfare il requisito ove contenga gli elementi di cui agli artt. 20 e 21 d.lgs. 82 del 2005 e sia dunque provvisto di idonea firma digitale o altrimenti qualificata. In adeguamento alla riportata disciplina le banche hanno sviluppato diffusamente alcuni servizi informatici, connessi all’internet banking, in grado di generare la firma digitale del cliente. Quanto poi alla disciplina vigente per specifici prodotti, viene in rilievo il Regolamento delegato europeo 2018/389 del 27 novembre 2017, integrativo della direttiva PSD2 in materia di servizi di pagamento, terreno naturalmente idoneo ad una gestione digitale. Questo intervento normativo, in vigore dal 14 settembre 2019, è andato a regolare analiticamente la procedura di creazione, trasmissione, associazione e consegna delle credenziali personalizzate al cliente secondo dei sistemi di autenticazione c.d. forti, attuabile anche a distanza (art. 22 ss. del Regolamento).

Le serie normative riferite mostrano un sistema di negoziazione già improntato alla digitalizzazione attraverso strumenti che garantiscono un elevato e adeguato sistema di autenticazione che le banche, da qualche tempo, hanno sviluppato. Da quest’angolo visuale, l’utilità della disposizione in commento fatica a cogliersi.

Anche senza la necessità di ricorrere a simili soluzioni tecniche occorre poi ricordare un ulteriore dato di contesto. Sin dalle origini dell’emergenza (art. 1, comma 4, D.P.C.M. 11 marzo 2020) l’operatività delle filiali è sempre stata garantita, seppur nel limite del rispetto delle misure precauzionali (orari ridotti e accesso su appuntamento).

4.- Ciò posto, il margine di utilità della disposizione – come corrispondenza ad un bisogno reale – si rintraccia soffermandosi sui connotati particolari dell’emergenza pandemica in corso e, in particolare, guardando i soggetti più fragili e colpiti con maggior severità dalla malattia: gli anziani. Proprio in relazione a questi si rintraccia l’esigenza di semplificazione digitale di cui alla norma in commento, trattandosi di persone culturalmente distanti dalle tecnologie informatiche e, a fortiori, dalle firme digitali. In questa prospettiva, lo strumento individuato dalla norma può garantire anche a questi soggetti l’accesso ai servizi bancari.

Fissato il focus reale della disposizione, la conclusione del contratto in assenza della sottoscrizione del cliente non manca di generare problematiche nell’esecuzione del rapporto. Si pensi, ad esempio, alla necessità di un’apertura di conto corrente per l’accredito della pensione e al conseguente bisogno di prelevare le somme. Per evitare di vanificare lo scopo della norma, risulta indispensabile al soggetto poter accedere al denaro per il tramite di un’altra persona, munita di valida procura. Ma qui il problema: l’assenza di una sottoscrizione autografa nella disponibilità della banca rende per la medesima molto complesso verificare la giustificazione del potere attribuito al rappresentante e, di conseguenza, dare seguito alla richiesta.

5.- Si è appena avuto modo di notare come la disposizione, pur perseguendo un’ottica di semplificazione, non manca al contrario di generare complicazioni operative.

Ciò può essere osservato anche in relazione ad un ulteriore frammento disciplinare riguardante specificatamente il contenuto della manifestazione negoziale del cliente. La norma infatti si limita a disporre che il consenso deve riferirsi ad un contratto «individuabile in modo certo», trascurando ,invece, il distinto aspetto dell’individuazione puntuale delle regole che andranno a governare il rapporto. Questo profilo, lungi dal potersi considerare marginale, è fatto oggetto nella materia che qui occupa di precise disposizioni di legge che definiscono i contenuti negoziali da determinarsi per iscritto (v. ad esempio, l’art. 117, comma 4, T.U.B., ovvero l’art. 125-bis T.U.B. in materia di credito al consumo).

Dunque, oltre all’indicazione certa dell’operazione a cui si riferisce, il consenso deve riguardare il regolamento contrattuale composto di tutti gli elementi predeterminati ex lege. La norma, tacendo sul punto, apre il problema circa la modalità attraverso la quale ciò possa avvenire. Per una soluzione che possa dirsi conforme alla disciplina di trasparenza riferita, la disposizione deve essere dunque interpretata ritenendo che la dichiarazione negoziale del cliente, manifestata tramite lo strumento della semplice e-mail, avvenga previa trasmissione del documento contenente il testo contrattuale e, dunque, a questo si riferisca e faccia seguito.

6.- Quanto poi al distinto requisito della consegna del contratto, la norma richiede che la banca ne invii una copia attraverso un supporto durevole e, “alla prima occasione utile successiva al termine dello stato di emergenza”, consegni quella cartacea. Si deve ricordare che anche questo tratto disciplinare assume nella materia in oggetto una peculiare importanza. Come già anticipato (cfr. par. 2), la nota sentenza 898 del 2018 ha chiarito che la traditio della copia del regolamento contrattuale è requisito di validità dello stesso, preordinato a mettere nella disposizione del cliente uno strumento per monitorare l’esatta esecuzione del rapporto.

Pertanto, è necessario che la banca innanzitutto conservi la prova dell’avvenuta consegna «digitale» e, al termine dell’emergenza, contatti il cliente per la consegna cartacea. È da aggiungere che, a questo fine, può risultare utile la sottoscrizione della banca. Per quanto non sia più considerato un requisito ad validitatem del negozio (cfr. ancora Cass. 898 del 2018), può comunque prestare la sua utilità come elemento in grado di dare stabilità e fermezza al documento, identificando quello che rappresenta il contratto concluso e, dunque, da consegnare.

7.- Spostando ora la prospettiva, la norma non manca di introdurre delle problematiche anche riguardo all’efficacia probatoria della nuova forma.

Una prima difficoltà si pone innanzitutto riguardo all’interpretazione della disposizione circa il profilo appena segnato. In particolare non risulta immediatamente chiaro alla lettura se l’equiparazione dell’indirizzo e-mail agli altri strumenti di firma elettronica sia limitata al fine dell’integrazione della forma scritta di cui all’art. 117 T.U.B., ovvero riguardi anche l’efficacia di scrittura privata attribuita a questi altri strumenti digitali dall’art. 20, comma 1-bis, primo periodo, del d.lgs. 82 del 2005. Dalle due alternative riferite discendono diversi regimi probatori: nel primo caso troverebbe applicazione la disciplina generale in materia di efficacia probatoria degli atti privi delle firme digitali qualificate. A questo riguardo l’ art. 20, comma 1-bis, secondo periodo, del d.lgs. 82 del 2005 stabilisce che documenti informatici sono “liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità” che presentano. Nella seconda ipotesi, invece, in deroga a tale ultima disposizione, l’e-mail non certificata formerebbe piena prova circa la provenienza dell’atto dal mittente sino alla querela di falso.

Nonostante una circolare dell’ABI (9 aprile 2020 p. 5 e 6) si sia già espressa abbracciando questa seconda lettura, l’interpretazione sistematica della norma esclude l’attribuzione degli effetti disposti dall’art. 2702 c.c. all’indirizzo di posta elettronica non certificato. In particolare, risulterebbe in concreto impossibile applicare lo statuto disciplinare proprio della scrittura privata, di cui, in specie, agli artt. 214 e ss. c.p.c.. L’aspetto davvero critico risulta la possibilità di poter procedere alla verificazione dell’e-mail ex art. 216 c.p.c., in assenza di scritture tra le quali poter effettuare una comparazione.

Non può dunque che trovare applicazione l’art. 20, comma 1-bis, secondo periodo, del Codice dell’amministrazione digitale, del resto confermativo della disciplina generale riguardante le riproduzioni meccaniche ex art. 2712 c.c.

8.- Infine, un secondo ordine di problemi si pone in relazione al rapporto tra l’efficacia probatoria dello strumento e l’agire imprenditoriale della banca, orientato dalla clausola di sana e prudente gestione ex art. 5 T.U.B. In questa prospettiva, se si aprisse una fase contenziosa del rapporto e il cliente «disconoscesse» l’e-mail, questa sarebbe esposta al rischio, di certo non conforme al canone riferito, di trovarsi nell’impossibilità di poter fornire una prova contraria.

La norma, dunque, in aggiunta alle diverse criticità riferite, rischia anche di favorire e legittimare comportamenti devianti dall’alta diligenza richiesta all’impresa bancaria nello svolgimento della propria attività professionale.

 


[1] Si riporta di seguito il testo integrale della disposizione: “Ai fini degli articoli 117, 125-bis, 126-quinquies e 126-quinquiesdecies del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, ferme restando le previsioni sulle tecniche di conclusione dei contratti mediante strumenti informativi o telematici, i contratti, conclusi con la clientela al dettaglio come definita dalle disposizioni della Banca d’Italia in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del presente decreto ed il termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020 soddisfano il requisito ed hanno l’efficacia di cui all’articolo 20, comma 1-bis, primo periodo, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, anche se il cliente esprime il proprio consenso mediante il proprio indirizzo di posta elettronica non certificata o con altro strumento idoneo, a condizione che questi siano accompagnati da copia di un documento di riconoscimento in corso di validita’ del contraente, facciano riferimento ad un contratto identificabile in modo certo e siano conservati insieme al contratto medesimo con modalita’ tali da garantirne la sicurezza, l’integrita’ e l’immodificabilita’. Il requisito della consegna di copia del contratto e’ soddisfatto mediante la messa a disposizione del cliente di copia del testo del contratto su supporto durevole; l’intermediario consegna copia cartacea del contratto al cliente alla prima occasione utile successiva al termine dello stato di emergenza. Il cliente puo’ usare il medesimo strumento impiegato per esprimere il consenso al contratto anche per esercitare il diritto di recesso previsto dalla legge.”

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