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Tesi di laurea

Risk management: regole e responsabilità

1 Aprile 2013

Alessandro Caponi

(*) La tesi si pone l’obiettivo di comprendere il ruolo e la funzione del Risk Management all’interno della disciplina civilistica ed in particolare della disciplina del settore bancario e finanziario, analizzandone al contempo le tendenze evolutive.

Il Risk Management, definito dalla normativa come l’insieme di strategie, processi e meccanismi volti ad individuare, valutare, gestire e sorvegliare tutti i rischi a cui l’in-termediario è o potrebbe essere esposto, è stato introdotto nell’ordinamento in occasione della riforma della Corporate Governance, resasi necessaria nel settore bancario e finanziario a seguito della crisi del mercato e degli investimenti che ha colpito negli ultimi anni le economie più avanzate.

Con tale riforma il legislatore ha rintracciato nel Risk Management lo strumento in grado di indirizzare l’intermediario ed in particolare i suoi organi di vertice verso comportamenti e decisioni diligenti, volti al costante perseguimento degli obiettivi legislativi di settore enunciati agli artt. 5 del TUB e del TUF ed identificati dalla sana e prudente gestione, dalla stabilità economica, dalla competitività del sistema, nonché dalla correttezza e trasparenza dei comportamenti degli intermediari sul mercato.

Il Risk Management, disciplinato dapprima a livello comunitario con la Direttiva Mifid del 2004 e con le Direttive nn. 48 e 49 del 2006, è stato dapprima introdotto nell’ordinamento nazionale con la Legge sul risparmio, n. 262 del 2005, e poi riformato dal D. Lgs. 164 del 2007. Con questi provvedimenti il legislatore ha delegato Consob e Banca d’Italia ad emanare la nuove norme di Corporate Governance del settore. Tali norme, contenute nel Regolamento Congiunto del 2007, sono state poi integrate e dettagliate dalle Circolari della Banca d’Italia n. 263 e 216, che strutturano nello specifico il processo interno di Risk Management, denominato ICAAP.

Nel quadro normativo così delineato si prevede che gli intermediari, per raggiungere gli obiettivi di cui all’art. 5 del TUB e del TUF, devono strutturare un’organizzazione aziendale, che si compone, oltre che di solidi dispositivi di governo societario, soprattutto di un’efficace sistema di gestione del rischio dell’impresa, che costituisce il solo elemento che sotto un profilo sostanziale contribuisca in concreto a determinare le scelte gestionali, strategiche ed operative, degli operatori bancari e finanziari.

In concreto il processo ICAAP, impone all’intermediario, prima di assumere una qualsiasi decisione, di individuare tutti i rischi connessi a tale decisione, valutarne e se possibile misurarne sia la frequenza di accadimento, che il relativo impatto economico sul bilancio. A tal fine le Circolari della Banca d’Italia propongono un elenco, peraltro non esaustivo, dei rischi tipici dell’attività bancaria e finanziaria da considerare in ogni ipotesi gestionale. Il processo interno di Risk Management si conclude con la fase di c.d. Risk Response, in cui si enunciano le diverse possibilità di scelta e decisione nel caso concreto, specificando le relative conseguenze.

Ad esempio, nel caso esaminato dalla tesi, in merito alla disciplina di cui all’art. 100bis del TUF, l’intermediario, al fine di valutare se aderire o meno ad un consorzio di collocamento titoli e quale ruolo eventualmente assumere all’interno dello stesso, dovrà procedere a valutare principalmente il rischio di credito dell’emittente, effettuando un’analisi di “due diligence” sulla capacità economica e strutturale di adempiere ai propri debiti ed obbligazioni, utilizzando nel caso specifico le tecniche di misurazione quantitative proposte dalla normativa prudenziale. Eseguito il processo ICAAP di Risk Management interno, l’intermediario potrà così adottare scelte gestionali in grado di soddisfare gli obiettivi prefissati dal legislatore.

Tuttavia il problema si pone nel momento in cui questa procedimentalizzazione delle decisioni di Corporate Governance, incentrata dal legislatore sul processo interno di Risk Management, non viene rispettata dall’intermediario e dai suoi vertici societari.

In tal caso le risultanze del Risk Management rileva sotto il profilo della responsabilità civile sia dell’intermediario nel suo complesso, che dei singoli organi di vertice, contribuendo a concretizzare il generico concetto di “diligenza” che l’art. 2392 c.c. pone quale criterio guida delle decisioni degli amministratori, al pari degli artt. 21 e 94 del TUF che impongono la stessa “diligenza” in tema di comportamenti dell’intermediario sul mercato finanziario.

In proposito se viene omessa totalmente la valutazione di Risk Management, gli amministratori saranno responsabili ex art. 2392 in quanto negligenti nello svolgimento dei compiti loro attribuiti dalla legge, tra cui rientra la stessa predisposizione di un sistema di gestione del rischio, presupponendo peraltro che le decisioni, prive della valutazione interna di Risk Management siano state assunte in modo colpevolmente disinformato.

Di contro, se invece viene effettuata una corretta valutazione di Risk Management e gli amministratori procedono in modo conforme alle risultanze della stessa valutazione, si potrà presupporre anche in sede giudiziale che il management abbia agito “diligentemente” assumendo una decisione informata, consapevole e comunque rispondente agli obiettivi legislativi di settore.

Infine, se viene assunta una decisione difforme dalle risultanze del processo interno ICAAP, gli amministratori, per risultare comunque diligenti nella gestione e scongiurare la responsabilità ex art. 2392, dovranno produrre e specificare in giudizio le ragioni in base alle quali abbiano ritenuto più diligente discostarsi dall’esito del processo interno di Risk Management, dimostrando ad esempio che lo stesso non fosse corretto o completo nel caso concreto.

Pertanto, mentre in passato la disciplina codicistica ha demandato di fatto alle corti il compito di ricostruire il parametri in base ai quali valutare la responsabilità degli amministratori e degli intermediari, il legislatore di settore, per mezzo del Risk Management, tenta oggi di fornire un più solido riferimento “normativo” del concetto di “diligenza”, seguendo peraltro quella consolidata corrente dottrinale che mira a garantire una gestione diligente per mezzo di una “procedimentalizzazione” delle decisioni aziendali.

In sede giudiziale poi l’intermediario ed i suoi amministratori potranno fondatamente sostenere di aver operato “diligentemente” qualora abbiano adottato decisioni conformi alle risultanze di un corretto processo interno di Risk Management, come procedimentalizzato dal legislatore. Sarà così più agevole assolvere l’onere della prova che in tema di “diligenza” il legislatore pone a carico dello stesso intermediario ex art. 23 e 94 del TUF, nonché degli amministratori ex art. 2392 c.c..

La procedimentalizzazione delle decisioni di management permetterà così di realizzare un’imputazione delle responsabilità interne alla struttura dell’intermediario basate non tanto più sulla semplice “posizione” ricoperta all’interno della stessa struttura, quanto più sull’effettiva e concreta “funzione” svolta dal singolo componente aziendale, distinguendo ad esempio tra amministratori esecutivi e non esecutivi.

Parimenti sarà possibile imputare le responsabilità in funzione di entrambi i criteri di diligenza fissati dall’art. 2392 c.c.: il criterio oggettivo, quale la “natura dell’incarico” attribuito all’amministratore delegato, ed il criterio soggettivo, quale la “specifica competenza” propria di ciascun amministratore.

Nel quadro complessivo dalla riforma del risparmio e del mercato, se da un lato il legislatore si è concentrato sulle regole di Corporate Governance, introducendo il Risk Management, dall’altro lato ha tentato di scongiurare il ripetersi di quei comportamenti fraudolenti sul mercato dei titoli che hanno permesso ai crack di alcune multinazionali di contagiare l’intero settore bancario e finanziario.

La nuova disciplina, contenuta nell’art. 100bis del TUF, si inserisce anch’essa nel dibattito che da sempre coinvolge il settore bancario e finanziario. La dottrina, con opposti orientamenti, si chiede infatti se anche nel settore finanziario valga la generale dicotomia tra regole di validità e di condotta, propria dal diritto civile, oppure se viga un diverso principio autonomo, che confonde le due tipologie di norme, soprattutto in tema di sistema dei rimedi. Dalla risposta a tale domanda consegue anche la risposta all’ulteriore e più generale questione se la disciplina del settore finanziario rientri nell’alveo di applicazione dei principi di diritto civile o se costituisca una disciplina autonoma, con propri principi.

Il punto di partenza del percorso di analisi non può che essere l’Ordinanza della Cassazione Civile n. 3683 del 2007, che rimette alle SS.UU. un contrasto tra due opposti orientamenti, per il primo dei quali resta salda, anche nel settore bancario e finanziario, la distinzione codicistica tra regole di validità e di condotta, con applicazione solo alle prime del rimedio della nullità ex art. 1418, co. 1, c.c.. Vi si contrappone un opposto orientamento, secondo il quale nella disciplina del settore, in quanto sistema autonomo, vigerebbe un diverso principio, in base al quale il rimedio della nullità si applicherebbe anche alle regole di condotta, purché imperative, dettando perciò un principio diverso da quello codicistico.

A questo contrasto di orientamenti hanno fornito risposta le SS.UU. con le sentenze n. 26724 e 26725 del 2007, ribattezzate “sentenze Rordorf”, per le quali non solo ai contratti del mercato finanziario si applica “il sistema del codice civile”, ma di conseguenza per questo vige la distinzione codicistica tra regole di validità e di condotta, per cui ex art. 1418 c.c. la violazione delle norme di condotta non può dar luogo a nullità, neanche “virtuali”, rientrando nell’alveo dei rimedi risarcitori. Solo la violazione di una regola di validità può comportare la tutela per invaliditatem.

È interessante notare come la stessa evoluzione della disciplina in tema di circolazione dei prodotti finanziari ripercorra i dubbi della giurisprudenza di legittimità e delinei il cambio di tendenza legislativo: dalla nullità assoluta, originariamente comminata dall’art. 2412, co. 7, c.c. per la violazione di una norma di condotta fondata sulla “consegna” del prospetto, si transita per una norma di condotta priva stavolta del rimedio caducatorio, per arrivare infine all’attuale formulazione dell’art. 100bis, che per la violazione di una norma di validità del negozio appronta la tutela della nullità codicistica, derogando però all’art. 1421 c.c. in quanto la legittimazione attiva, altrimenti assoluta, viene limitata ai soli acquirenti che agiscono “per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale” eventualmente svolta.

Dall’analisi svolta si può concludere che nel dibattito relativo alla presunta tendenza del legislatore a confondere i confini tra regole di validità e regole di condotta, la rapida evoluzione della disciplina da ultimo contenuta nell’art. 100bis fornisce la prova evidente di un ripensamento da parte del legislatore.

Se nel recente passato era aumentata la frequenza degli interventi legislativi che sanzionavano con la tutela per invaliditatem la violazione di regole di condotta, almeno nel caso dell’art. 100bis del TUF il legislatore sembra aver invertito la  tendenza, come confermato dalle SS.UU. con le citate sentenze “Rordorf”.

È così scongiurata quella che parte della dottrina aveva qualificato come la “fuga dal rimedio risarcitorio”, riaffermando la centralità degli istituti codicistici, pur se riadattati al perse-guimento degli obiettivi propri della disciplina di settore. 

In conclusione tanto l’introduzione dell’art. 100bis del TUF, quanto l’introduzione del Risk Management nella disciplina del settore bancario e finanziario rispondono alla comune esigenza di scongiurare il riproporsi delle cause che hanno portato alla recente crisi del mercato e degli investimenti.

La scelta d’intervento adottata dal legislatore non appare invero volta a creare microsistemi normativi paralleli ed autonomi rispetto alla disciplina codicistica.

Le nuove norme non solo tengono a precipuo riferimento il quadro legislativo strutturato dal Codice Civile, ma ne adattano anche gli istituti e ne colmano le lacune al fine di realizzare gli specifici obiettivi perseguiti dalla disciplina del settore bancario e finanziario.

 

* Tesi pubblicata fuori dal concorso "Premio originalità scientifica"

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